recensioni dischi
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BEN SLAVIN  "The pines"
   (2018 )

Al tramonto di novembre, in pieno periodo di statistiche e rituali classifiche di fine anno, è tornato Ben Slavin con “The Pines”, una sorta di racconto della giovinezza trascorsa dall’artista a Pine Barrens (New Jersey), città che l’ha praticamente adottato e in cui ha passato anni importanti della sua vita. Preziosa è stata la collaborazione con Andrea Faccioli, polistrumentista che ha indossato qui i panni del produttore e ha anche speso parole al miele nei confronti di Slavin e del suo nuovo disco. “The Pines” ha la fisionomia di un album cantautorale, ma è impreziosito dalle tracce di folk americano inevitabilmente sparse qua e là nel disco. L’album si schiude con una ballata leggera e delicatissima e poi sale leggermente di tono con “On Washington Square”, dal sottotesto vagamente jazzato. Il contributo di banjo e ukulele appare più evidente a partire da “Ode To Clitumnus”, più corposa e con uno Slavin ispiratissimo anche nel cantato. L’incalzare di “Ordinary Builds” è una parentesi, ma le successive “The Pines 1: Barnegat” e “Tosti Songs And Art Nouveau” tornano su atmosfere malinconiche e strutture più dilatate. È “The Pines 2: Mausoleum” che riprende a complicare il discorso, dopo la brevissima “Lemon Biscuit Tin” e prima di “The Pines 3: A Forgotten Prince”, decisamente più old school. “Leave” offre un lento crescendo, con un folk che da sognante si fa quasi acidulo in coda, mentre chiudono la nostalgica “Cetara” e l’irresistibile “Lithograph Train”. Quello di Ben Slavin è un lavoro ben fatto, che unisce una discreta ricercatezza a una grande godibilità e un senso di leggerezza che rende parecchio piacevole l’ascolto. (Piergiuseppe Lippolis)