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FIRMO  "Rehab"
   (2018 )

Durante gli ascolti giornalieri dei vari progetti “concept”, “indie”, “alt” e affini, non nascondo che spesso mi perdo in questo “Far West” musicale, a tal punto da provare un bisogno disperato di certezze sonore e soprattutto, di ascoltare qualcosa o qualcuno che mi riporti a “casa”: ho scelto quindi, per ritornare a note a me più familiari, di ascoltare Firmo e il suo esordio da solista “Rehab”.

Il disco in questione è un elogio alla semplicità, a quell’anima pura del rock a stelle e strisce, che non scopre nulla, non inventa niente, ma che semplicemente punta a suonare un rock deciso ma morbido, fruibile da chi come me, in questo istante, ha solo bisogno dell’ottimo, pregiato e puro ROCK.

L’alternanza tra brani rock melodici, ma sostenuti, e delicate power ballad costituiscono, a mio parere, il punto di forza dell’intero progetto musicale, che inizia in maniera “ruggente” con "A Place for Judgement Day", brano adrenalinico e trascinante, con un refrain coinvolgente che non passa inosservato nemmeno ad un primo ascolto, e che mette subito in chiaro le strepitose doti della line up di musicisti che hanno collaborato per la produzione di questo bel disco.

E' invece molto intima e decisamente più tranquilla “Heart of Stone”, dove un sostenuto drumming (Daniele Valseriati) accompagna ed esalta l’interpretazione di Gianluca Firmo; nel finale spicca uno strepitoso riff di Mattia Tedesco, chitarrista dei Candies For Breakfast, che vale da solo l’acquisto del disco.

Ancora chitarre in evidenza in “Shadows and Lights”, che con il loro incedere morbido ed elegante incorniciano la calda e emozionante interpretazione dell’artista bresciano, costituendo uno dei momenti più struggenti e riflessivi dell’intero album.

Un piccolo assaggio di melody rock in “Maybe Forever” e poi, per fortuna, si ritorna a picchiare duro con “No Prisoners”, dove un’equilibrata ed energica ensemble di chitarre, basso e batteria ti trasporta indietro nel tempo, in quei quei “goduriosi” dischi hard rock made in “nineties”.

“E non mi importa” se l’approccio interpretativo richiama lo stile di Bon Jovi o Bryan Adams, perché in “Didn’t Wanna Care” (appunto) l’artista bresciano si supera con una ballad delicata, intima, dove a far sognare è la melodia dai contorni romantici e nostalgici, e nel finale lo splendido sax di Alessandro Moro contribuisce a rendere l’atmosfera ancor più crepuscolare.

A spezzare i sogni ci pensano “Unbreakable” e “Don’t Dare to Call It Love”, in cui si fanno apprezzare ancora una volta i riff di Mattia Tedesco e la trascinante sezione ritmica, dove spicca l’ottimo Nicola Lazzi al basso, due brani dal piglio decisamente più rock ma che cedono nuovamente il passo alle melodie soft e sentimentali di “Cowboys Once, Cowboys Forever”.

Quasi alla fine del disco ci si imbatte nella title track “Rehab” che, senza troppe esitazioni, ti investe con il suo rock viscerale, aggressivo e diretto, in un componimento in cui Firmo & Company uniscono in maniera pressocché ideale melodia ed energia.

La chiusura del disco non poteva che essere lasciata a due ballad passionali ed intime, “Until Forever Comes” e “Everything”, due brani in cui la voce del rocker bresciano ha il pregio di esaltarne il trasporto emotivo e che rappresentano il perfetto saluto di commiato della strepitosa band.

All’inizio della mia recensione, invocavo qualcuno che mi riportasse a “casa”, e Gianluca Firmo con i suoi eccelsi compagni di viaggio è riuscito a darmi quella serenità e sicurezza che si prova nel ritornare tra le quattro mura della propria stanza, grazie ad un disco che probabilmente non spicca per originalità, ma che è scritto, arrangiato e interpretato in maniera magistrale.

“Rehab” è davvero un disco che ti riabilita musicalmente, da conservare sullo scaffale tra i vinili hard rock dei Van Halen e degli Scorpions, o a quelli Melodic Rock dei Survivor, un disco che ho molto apprezzato e che punta con successo sulla facilità di ascolto, basata su una piacevole alternanza di brani rock dal ritmo sostenuto, intime e delicate power ballad e spregudicati mid-tempo.

Consigliato a chi proprio non riesce ad ascoltare il frastuono musicale dei giorni nostri ed è rimasto un po' con la testa negli anni '90. Voto 8. (Peppe Saverino)