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KEISUKE MATSUNO, M.BAUMGARTNER & L.GRAUGAARD  "Crush"
   (2018 )

Secondo episodio di questo super trio, “Crush” (appena uscito per Clang Records) è un contenitore multiforme di improvvisazioni. Keisuke Matsuno alla chitarra deformata, con le sue sperimentazioni estreme sul timbro, tali da renderlo spesso irriconoscibile. Moritz Baumgärtner alla batteria che sa giocare con le proprie esperienze sia jazzistiche che punk, indie e post rock, adattandosi praticamente ad ogni situazione. Ultimo ma non ultimo Lars Graugaard alle programmazioni elettroniche, qui praticamente è il solista del laptop, ma è solo una delle tante cose che sa fare il compositore danese, classe ’57, attivo sia nella classica che nella contemporanea. Cinque sono le tracce presenti in “Crush”, caratterizzate da cinque diversi tipi di ambientazione creativa. In “Wheefing the hoofer” Matsuno è il protagonista, e la sua chitarra assume un aspetto gommoso. “Tomorrow never comes” vede la presenza costante di Graugaard, che produce suoni ispidi e pungenti, come aculei d’istrice. La batteria è inizialmente leggera ma già agitata; poi Baumgärtner genera una cascata di percussioni, i cui riverberi naturali si sommano a quelli artificiali di Graugaard. Il che crea una cappa plumbea nell’aria, una sensazione di oppressione. “Grindle” è un loop elettronico allucinato, sul quale Moritz tesse una fitta trama principalmente di piatti. Keisuke si riconosce solo poco prima della fine: forse era già presente, ma nella traccia la sua chitarra non si riconosceva! Invece dà avvio a “Blended conurbation” in maniera riconoscibile, con alcuni suoni allungati in modo etereo, ed altri in reverse. Però è l’ultima traccia, “Keep something on”, della durata di quasi 24 minuti, a rendere l’idea delle innumerevoli possibilità di questo trio. La chitarra sembra disturbata dalla radio, mentre esegue un assolo difficile, ma le orecchie sono dirottate verso le trasformazioni timbriche, che sembrano sbriciolare lo strumento. La batteria all’undicesimo minuto inizia un giro ritmico finalmente intellegibile, mentre Graugaard svasa programmando onde rapide e frammenti di vetro digitale, controllando non solo gli impulsi sonori, ma anche i loro riverberi ed echi, separandoli dal suono base e deviandoli. Sembra ad un certo punto che la traccia “salti”, come quelle di un cd sporco. Invece l’improvvisazione arriva anche lì, a modificare le forme dell’onda fino a includerci quelli che normalmente sarebbero chiamati “disturbi”. Fino a trasformarsi negli ultimi sei minuti in qualcos’altro ancora, abbastanza indefinibile. Del resto, “se non sai cos’è, è jazz”! Però d’avanguardia. (Gilberto Ongaro)