CENTO SCIMMIE "Fragile"
(2018 )
Finalmente è arrivato il primo LP dei Cento Scimmie. Nati nel 2013, finora avevano pubblicato solo un EP ma dal vivo avevano già scosso la scena padovana. L’attesa è finita con “Fragile”, uscito per la Overdub Recordings che li definisce alternative rock/post metal. Il sound, caratterizzato da riff energici e da un basso distorto, accompagna i testi che mostrano sempre un’attenzione rivolta alla società, soprattutto a ciò che non si vede di essa (o non si vuole vedere, o peggio non si vuole far vedere). Cosa si nasconde dietro questo dilagare nel mondo, di politiche di chiusura e di trionfo delle paure? Le nostre fragilità umane. Saccheggiate e manipolate da chi fa le regole, per pilotarci dove vuole. La presa di coscienza di essere corresponsabili ai mali del pianeta, è un tema ricorrente nelle canzoni. In “Cosmetico”, si parla del benessere occidentale, generato dallo sfruttamento del resto del mondo: “La tua sterile comodità, è imprescindibile dalla libertà di mani che sudano, tagliano e bruciano, solo perché non sono dall'altra parte”. Negli scenari di sfruttamento c’è spazio per ogni tipo di aberrazione, anche le battaglie non seguono chissà quali codici militari nobili; in “Schiena” vince la vigliaccheria: “Mira alla schiena, come non fosse niente (…) le tue mani sono luride (…) muore un uomo e tu non senti niente”. Concetto ribadito un’altra volta in “Cani”: “Come se la lama non ferisse, quando non sei vicino”. Qui il discorso si collega all’arroganza dei più forti su chi non può difendersi, che anzi sfrutta le debolezze dell’avversario come trofeo, anche nei social, dietro la maschera pacata del colonialista: “Cambia pagina, trova il morto che più ti si addice. Condividi la violenza che più ti ingrandisce. Mostra al mondo che mostro dorme in te”. Il tutto su sferraglianti colpi di basso e velocità, che rallenta su “Verme” per dar più spazio al groove. La violenza fra uomini della stessa specie si estremizza in “Basta che funzioni”: “Come masticare un uomo semplice, senza lasciarne un atomo, senza lasciarne uno”. Seppure sia un cannibalismo figurato, la sospensione della verità oggettiva è intrinseca, nella condizione di guerra: “Lo sai com’è il nemico, taglia la sua testa, cucila al rovescio, digli che è diverso”. La batteria inganna la percezione del ritmo e del tempo, spostando costantemente gli accenti, in “Pezzi”, brano surreale che inizia con una critica abbastanza razionale, per finire a descrivere una situazione inquietante: “Come farai, quando capirai che non c'è via oltre a noi, lo sai, e guarderai oltre la tua idea di cambiamento? (…) Conta le mie vertebre (…) dove nasconderai quelle dita che nella carne frugano? (…) Conterai i miei pezzi per Terra”. Abbiamo una digressione nel cosmo, con suoni di astronave e comunicazioni spaziali, con “Ipergiganti gialle”, nome di un raro tipo di stella, grande come 20 soli. Il refrain in 7/8 accompagna parole che probabilmente partono dal descrivere il corpo celeste (anzi giallo!), ma suggeriscono di leggere oltre le righe: “Misera è la stella, se a bruciare è l’unica. Morirà anche se è bella, perché non può stare sola”. La voglia di giocare coi tempi dispari prosegue anche nel pezzo di chiusura, “Labbra”, un 11/8 ipnotico e dal rullante che fa vibrare pure gli armonici, quasi come nell’industrial metal. E le parole chiudono il cerchio di quanto cantato finora: “Cerca di capire quello che non sai, mordi le apparenze o ti piegherai agli inganni d'oro della tua prigione, di chi le catene vi lucida. Cambia la tua visione prima che non si cambi mai”. Sound aggressivo e coinvolgente, voce che interpreta la rabbia in maniera credibile, graffiata ma non sguaiata, testi intelligenti. Cosa si può volere di più? (Gilberto Ongaro)