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TERRY RILEY  "A rainbow in curved air "
   (1969 )

Tra i fondatori del minimalismo, Terry Riley è tra quelli che hanno saputo attenuare l’austerità e la razionalità tipiche del genere, ed esplorare le potenzialità emotive del genere, diventando un idolo anche tra i musicisti rock della sua era e guadagnandosi un omaggio da parte degli Who, che in “Baba o’ Riley” mostrano al grande pubblico come il suo stile offrisse sterminate possibilità di contaminazione.

Il suo album ''A Rainbow in Curved Air'' contiene due suite della durata di circa venti minuti, la prima omonima e la seconda ''Poppy Nogood and the Phantom Band''.

Il primo brano, è quello che l’autore definirà “il pezzo che sento a me più vicino”. Ispirandosi alla musica tradizionale balinese, alla classica occidentale, ai raga indiani ed alla nascente musica elettronica, Terry Riley compone un monumentale inno alla felicità ed alla fratellanza dei popoli che rimarrà una delle più importanti testimonianze della musica del ventesimo secolo. Le varie frasi melodiche si ripetono e si intrecciano tra loro in modo ossessivo e frenetico creando un effetto ipnotico ma riuscendo allo stesso tempo a dare una struttura narrativa all’insieme. A metà della composizione, il crescendo dell’organo scandisce il momento più commuovente dell’opera, per poi riprendere con intensità minore ma con lo stesso ritmo di partenza fino al termine.

Il secondo brano, anch’esso eccellente, sembra procedere in una direzione quasi opposta, abbandonando i ritmi tribali del primo, a favore di un minimalismo più vicino ad una versione elettronica della musica eterna di La Monte Young, suo compagno di studi. Per i primi tre minuti l’armonia viene mantenuta statica con pochissime evoluzioni. Nei successivi, fino a metà, l’autore aggiunge degli spunti personali come alterazioni improvvise al flusso di coscienza in cui il tono viene alterato per un istante e lente frasi jazz. La seconda metà del brano recupera a tratti gli intrecci melodici del precedente ‘Rainbow’ per poi riadagiarsi sui toni statici.

È un’opera dal fascino immenso, in grado di espandere la coscienza, di conciliare il corpo, le emozioni e la spiritualità di chi la ascolta, ma anche di fondamentale rilievo storico per la sua sperimentazione e per il ruolo che ha avuto nel definire il genere minimalista. (Massimo Cucca)