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HYENA RIDENS  "La corsa"
   (2018 )

Si può fare rock senza chitarra. Non è una domanda. Gli Hyena Ridens, nell’ultimo periodo, si sono trasformati da quintetto rock ad un power trio composto di batteria, basso e tastiere. E non perdono un’unghia, anzi un artiglio della loro energia. Basso costantemente distorto, synth acidi e via! Forse, per il prevedibile paragone con gli Emerson Lake & Palmer, nella copertina del nuovo album “La corsa”, i tre si raffigurano di lato verso sinistra, omaggiando la cover di “Trilogy”. Ma la sonorità è molto diversa, non ci sono caratteristiche vintage. L’intro “Ronzinante” è collegato al primo vero pezzo, “La corsa”, brano entusiasta ed entusiasmante, che accompagna un testo agitato: “Galoppo galoppo lungo un fiume d'intenti, smanio per rapidi trionfi che mettano a tacere un padre (…) Nessuna liturgia, nessuna epifania potrà allentare la mia agonia”. Esaltante anche l’idea, in “Fantasmi”, di incrociare il basso distorto con un pianoforte classico in un vorticoso 6/8 (con ponte in 5/8 più calmo e meditativo). Le varie zone di tutte le canzoni presentano piccoli dettagli che le caratterizzano in maniera univoca. “Palomar” è un’osservazione in alto, degli stormi di uccelli, delle correnti, fino ad arrivare più su: “Vorresti danzare nelle orbite dei pianeti e partecipare alla genesi di una luce”. Il ritmo tribale di batteria, che insiste sui tom, è d’ausilio al clima d’elevazione sciamanica. Calma apparente nel piano elettrico di “Falsi approdi”, minacciata sempre da un trapano (il basso). Le parole vagabondano senza meta, tra rimpianti ed inganni, mentre la batteria inizia ad affiancare ai suoni acustici dei pad elettronici, spostando il brano nel trip hop. Un inciso di tastiera semplice ma efficace scolpisce nella mente “Laura”, canzone che sonda il sentimento con profondità: “Sorriderti è un gesto per abbracciare la bellezza di tutti i tuoi umori (…) Prenderei ancora un biglietto per visitare ogni angolo di te, e ballare, vederti ballare libera dai tuoi traumi”. La parte centrale è sospesa, il silenzio dialoga in maniera importante con la musica. Lo strumentale “Un pianoforte nell’abisso” contiene un vero e proprio monster riff, una sberla inattesa, visto il titolo. L’abisso è quello creato dal basso, sul quale inizialmente si staglia il pianoforte, con un andamento da Vangelis, ma poi arriva un suono di synth ad agitarsi di più. Ancora agitazione nelle parole de “Il ritorno”, così come nel ritmo che da moderato si trasforma in drum & bass. Nella chiusa, mentre basso e batteria terminano in rock, il pianoforte accenna ad una progressione più tipica dei ritmi latini. Un suono effettato in loop tormenta il brano “Tradimento”, fino al crescendo drammatico della voce che critica il concetto di fedeltà e di terrore vissuto per la condanna morale collettiva: “Accendere un registratore ascoltando nastri di soluzioni, e accettando solo le privazioni”. Intenzione aggressiva in “Essere umani”, per parole crude: “Carne e sangue, carne e sangue, carne e sangue, nasco da pelle, viscere ed amore”. Infine gli Hyena Ridens rivelano le proprie origini partenopee, con “Vesuvio”. Si tratta di una cover, composta dagli E’ Zezi – Gruppo Operaio, che dal 1975 compone musica traendo spunto dal folklore. La veste rock del trio trasfigura il canto, lanciando i metalmeccanici nel futuro! Battute a parte, quest’ultimo pezzo, messo in chiusura dell’album, fa percepire in noi quella distanza abissale dalla “coscienza di classe”, che sarebbe bello invece si risvegliasse, dato che nel 2018 in Italia esistono ancora morti bianche e “'sta gente che vive ‘nte baracche”. Bravi davvero gli Hyena Ridens! (Gilberto Ongaro)