recensioni dischi
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SILVER DUST  "House 21"
   (2018 )

A meno di due anni dalla pubblicazione di “The Age Of Decadence” e dopo un’intensissima attività live, sono tornati i Silver Dust, formazione di stanza in Svizzera fra le più originali e prolifiche dell’area quantomeno in ambito rock. La caratteristica che rende pressoché unica la proposta dei Silver Dust è la mistura di generi, che non solo abbraccia diverse declinazioni del rock, ma non disdegna divagazioni metal e aggressioni punk, oltre che parentesi classiche e atmosfere gotiche. È questo il principale punto di forza di un album che, da “Libera Me” a “The Calling” ha sempre molto da dire senza mai apparire ridondante. Dopo un’opener teatrale, “House 21” spinge in direzione hard’n’heavy con “The Unknown Soldier”, quindi mostra i primi guizzi punk nell’intro della titletrack, ancora immersa in ambientazioni gotiche. Il rock diretto e con qualche velleità prog di “Forever” precede una parentesi più ragionata e atmosferica come “Once Upon A Time” e il metal sostenuto di “La La La La”. È la riuscita cover di “Bette Davis Eyes”, originariamente di Kim Carnes, a rimescolare di nuovo le carte, mentre “This War Is Not Mine” si carica di epicità e brilla per il suo cantato emotivo e sofferto, prima di assoli che imbottiscono di elettricità la coda del brano. Nel finale, se “The Witches Dance” concede più spazio alla melodia, “It’s Time” disegna scenari tenebrosi e corre veloce sul dialogo chitarra-batteria, poi “The Calling” rimette l’accento su atmosfere gotiche, fra cambi di ritmo, stop and go e un sound che si riavvicina al prog. “House 21” rappresenta un altro passo avanti nel ben avviato processo di maturazione della band, mostrandosi ispirato e autentico e privo di passaggi a vuoto. (Piergiuseppe Lippolis)