GRAVE "A trip to Mustafar"
(2018 )
L’album ''A trip to Mustafar'' del trio friulano Grave (pronuncia all'italiana) si presenta con quattro brani strumentali dalla durata decrescete, dagli oltre dieci minuti del primo ai poco più di sei minuti dell’ultimo, accomunati da un’affinità con il sound e le strutture dilatate ed i riff di chitarra tipici dei Kyuss, con qualche inflessione stilistica che ricorda talvolta i Soundgarden, talvolta i Rage Against The Machine.
''Space Embryo'' introduce il disco con delle divagazioni orientaleggianti sia nell’introduzione che a metà del brano, prima di affondare in trittico di jam monolitiche che sembrano voler replicare la densità del suono e la cadenza solenne degli Electric Wizard. Sono rappresentazioni di uno stato mentale, più che discorsi compiuti. Bisogna aspettare l’inizio della terza traccia per far rivedere qualche spiraglio di luce, ma è solo un diversivo, il disco sta infatti per raggiungere il suo vertice più cupo e opprimente.
L’ultimo brano, ''Safarà'', è quello forse maggiormente bilanciato nel fare uso sia di sfumature più tenui, che di scariche che si riallacciano al resto del disco, ed è anche quello più imprevedibile dal punto di vista ritmico. Non a caso, è anche il più breve, come se la ricerca della creatività abbia portato a dover accettare un compromesso.
Complessivamente il disco è godibile per chi è abituato a queste sonorità, anche se le idee sono un po’ poche. (Massimo Cucca)