recensioni dischi
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CIOSI  "The big sound"
   (2018 )

Immaginate un uomo con una chitarra acustica, ed il suo plettro. Immaginatelo aver già scritto innumerevoli canzoni, per la pura passione di scriverle, dedicando romantiche serenate alla compagna ("Silvia's eyes") chiudendole con un accordo di settima maggiore, ed all'eroico nonno ("My grandfather") che gli diede il migliore insegnamento della Great Generation: "Teach your children not to fight, only love with all this world around". Immaginatelo italo - argentino, quindi doppiamente latino, che suona la propria vita con espressività e credibilità, che recupera frammenti di vita già editati in Argentina, riproposti in una veste nuova per un nuovo disco. Immaginatelo scegliere con cura ogni dettaglio, per raggiungere "The Big Sound" (titolo dell'Lp che testimonia la spasmodica ricerca), e così anche lo strumento giusto per ogni pezzo. Come nel caso della "Dream Guitar", una Santa Cruz modello 1934 D Mahogany, swingando e lasciando il finale alle percussioni. Essendo maestro di flatpicking e avendo la chitarra come protagonista, potete prevedere che non lascerà la gloria del ritmo tutta al percussionista, percuotendo anche la propria chitarra in "Transatlantic", l'apice emozionale ed espressivo dell'album, dove tra accelerati e rallentati si naviga anche noi. La pluralità è la cifra stilistica di "The Big Sound". Tanti pezzi diversi, così come tanti diversi studi di registrazione distanti: Brescia, Reggio Emilia, Badia Polesine (RO), Londra. E cinque rivisitazioni di brani noti, presi da mondi lontani, uniti nel folk. Come "Cooley's reel", tradizionale irlandese il cui tema per fiato viene ripreso dalla chitarra, dando un effetto diverso, che però mantiene la propria "irlandesità". O "The Cyclone of Rye Cove", o "Alabama Blues", leggermente accelerata e con un'armonica a bocca che risponde alla sua voce. In un classico del bluegrass, "Rolling in my sweet Baby's Arms", la chitarra di quest'uomo simula la rapidità del banjo, e con l'altro classico "Nashville blues", cantato in una tonalità più alta di Doc Watson, approdiamo nella terra di David Grier, mentore del flatpicking al quale il nostro amico dedica un pezzo ("To David"). Immaginate poi quest'uomo saper scrivere parole semplici che toccano una profonda e terrena verità, tra ciò che si cerca e ciò che si trova, in "Who looks for something": "I was looking for a job, and I found my guitar (...) I was looking for a big boss, and I found a fat man (...) I was looking for a father, and I found a child (...) I was looking for my mother, and I found a paradise (...) I was looking for friends, and I found flowers and crosses (...) I was looking for beers and I found my future". E dopo aver fatto emergere queste visioni interiori, il nostro amico si reca mentalmente in tutte le coste mediterranee per estrapolarne gli stili musicali più o meno fraterni fra loro, e condensarli in una conchiglia che li fa ascoltare tutti: "Mediterranean's Shell". Lo sguardo si fa tenero, per un bambino che vede la neve per la prima volta, in "First snow". Sguardo tradotto in arpeggi leggeri come i fiocchi bianchi. Immaginatelo infine andarsene con un brano pensato per un film noir, chiamato per l'appunto "Noir", solo che invece di rappresentare la tipica fase drammatica con sguardo cinico e disincantato che ti aspetti dal genere, qui viene descritto un momento di riflessione lucida, mentre fuori piove e l'attore guarda foto ingiallite con un indefinito languore. Per un'uscita di scena elegante. Lo immaginate? Quest'uomo esiste, e si chiama Francesco Franciosi, per gli amici Ciosi. (Gilberto Ongaro)