recensioni dischi
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THISQUIETARMY  "Unconquered: 2008​-​2018 (10th Anniversary Edition) "
   (2018 )

Artista estremamente attivo e prolifico benché sfuggente e defilato, il canadese Eric Quach abita una landa appartata in cui brulicano gli ultimi quindici anni di musica colta e avant.
Titolare di una sterminata discografia, sia in proprio che al servizio di numerose band (Destryalldreamers, Mains De Givre), nonché di collaborazioni estemporanee anche in territori extra-musicali (Aidan Girt, Philippe Leonard), ha eretto una cattedrale di suono che trova fondamenta nell’elettricità di una drone-music di matrice chitarristica, declinata di volta in volta in forme più riflessive o disturbate, rarefatte o inquiete.
Ondivago e spiazzante come gli Ulver, si muove da sempre fra molteplici istanze e stili, teorizzando e perseguendo un continuo perfezionamento affidato ora a trame scopertamente metal (“Anthems For Catharsis”, 2015), ora a più languide digressioni psichedeliche (“Democracy Of Dust”, 2017), mai rinunciando tuttavia a raffinare la propria ricerca sonora oltre i confini di genere.
Per Midira Records esce ora in sole 280 copie “Unconquered: 2008-2018”, doppio cd da 137 minuti che se da un lato assume valenza velatamente celebrativa, dall’altro mira a riportare alla luce grazie ad una sapiente remasterizzazione del materiale originale il debutto del 2008, qui interamente riproposto in una veste – anche grafica - ancor più curata e rifinita.
Ciò che questo disco monolitico offre in dote è la sua ostentata assenza di limiti. Richiede in cambio apertura mentale, devozione, disponibilità, sacrificio. Vuole un’immersione incondizionata tra le maglie fitte dei suoi molti anfratti, esige una resa convinta e spontanea alle spire in cui promette di avvolgerti.
L’incipit attendista di “Immobilization” funge da preludio ad una “Battlefield Arkestrah” che disegna in nove minuti un crescendo ipnotico costruito – fil rouge tra i più ricorrenti – sul pulsare del basso e sulla successiva saturazione creata dalla stratificazione di chitarre e synth: più Godspeed You!Black Emperor che Explosions In The Sky, l’intento sperimentale sopravanza la componente emotiva rivestendo di un’allure elitaria composizioni che restano attraenti nonostante la complessità concettuale dell’insieme.
“Warchitects” incalza a passo marziale, “The Sun Destroyers” è un oscuro vortice stordente, quasi dei Cure virati noise lungo un sinistro martellamento ossessivo; “Death Of A Sailor”, stasi minimalista, indugia su uno strimpellio post-rock – più For Carnation che Slint – punteggiato da lievi dissonanze, mentre la vocalità – al contempo celestiale e glaciale – di Meryem Yildiz rende toccante l’estatico sviluppo di “The Great Escapist”, unico episodio cantato dell’album.
Talento versatile e sfaccettato, Eric spazia dalle schegge revivaliste in salsa sci-fi di “Empire” al fermento di “Mercenary Flags”, altri nove minuti in cui l’armonia è dettata dalla modulazione del feedback in un gorgo claustrofobico; in coda alle otto tracce che componevano l’album troviamo la riproposizione dei quindici minuti di “Dronewars”, pubblicata finora soltanto come bonus-track sul doppio vinile del 2008, ubriacante tourbillon di variazioni infinitesimali su una straniante aria monocorde.
Il secondo cd, chiuso dal breve, intimo ricamo della reprise di “The Great Escapist”, raccoglie altre tre lunghe composizioni precedentemente inedite, tra cui “Into Dust/Out Of Dust”, pregevole strumentale di mezz'ora, e due pezzi live, strutturati come medley di due brani ciascuna.
Pioniere e innovatore a tutto tondo, Eric Quach rimane un piccolo genio nascosto, figura isolata la cui arte sarebbe impossibile circoscrivere all’angusta misura di pochi brani: “Unconquered: 2008-2018” è comunque un ottimo inizio per chi intendesse penetrarne l’intensa, ribollente magia. (Manuel Maverna)