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THE SPLITHEADS  "New era may be obsessive"
   (2018 )

Punk is not dead. Da Grosseto con furore, The Splitheads arrivano con il loro album "New Era May Be Obsessive". L'Lp contiene undici pezzi carichi di influenze varie, ma che principalmente mantengono il sound e l'attitudine punk di scuola Ramones, con chitarra elettrica distorta e batteria dal charlie sempre semiaperto. Col brano d'apertura "1984" si intuiscono sia il riferimento letterario che quello storico. Quel particolare anno è noto per portare in sé tanti esempi di produzioni artistiche entrate nella memoria popolare, sia musicali che cinematografiche, dal "Born in the USA" di Bruce Springsteen al "Crêuza de Mä" di Fabrizio De André, e dai film dei Ghostbusters, Terminator, al primo Indiana Jones... Insomma, per uno strano caso, sembra che in quell'anno si siano concentrate le nascite - o gli apici - di molte icone dell'immaginario collettivo. Tornando al brano, la cui voce delinea una melodia che calzerebbe bene nell'ambito glam ottantiano, c'è un riferimento lontano alla profezia orwelliana del controllo mentale del Grande Fratello: "There is no space for who doesnt' pray a god with eyes of gold, the god of control". Il pezzo "Splithead", leggermente ancora più veloce del precedente, esplicita anche la tendenza stoner. A metà la canzone si trasforma in un 6/8 devastato e devastante. Gioco simile in "Stronger", dove una velocità ancora maggiore di prima, viene poi swingata dal batterista. "You & me", "Uh! Uh!", "Way out" e "Nails and pain" sono invece semplici e coinvolgenti scariche energiche. "Flow" in particolare risulta il pezzo più aggressivo, con il rullante in battere e tanto sentimento rock and roll. "Everyone plays their own game" abbassa un po' i battiti (solo inizialmente) senza perdere in potenza, con un incipit che lascia ascoltare il basso martellante. Pausa per la voce nello strumentale "Surfin' and waitin'", per sentire bene i riff scatenati. "I wanna" è l'ultimo pezzo, ultima corsa sfrenata che però a metà, dopo un falso finale e degli indugi sui feedback, si trasforma in un lento stoner trascinato, dalla distorsione di basso messa in evidenza. La dodicesima traccia degli undici brani ha tutta l'aria di uno scherzo. "Hammer - outro" è costituita da pedale e rullante di una batteria giocattolo, probabilmente il loop di una tastiera (anzi proprio una pianola), e dei campanellini stonati che calano. Nel complesso il disco non è per niente male, per essere un album autoprodotto e registrato in presa diretta. E forse l'efficacia del disco sta proprio in quello, avendo mantenuto il calore del suono live. (Gilberto Ongaro)