EAGLES "Hotel California"
(1976 )
“Se bastasse una bella canzone…”: questa sì che è una citazione dotta. Altro che aforismi di Oscar Wilde o di Karl Kraus, per non dire delle massime di La Rochefoucauld: questo è il sano buonsenso popolare del nostro campione di vendite all’estero, di colui che rappresenta la musica italiana nel mondo: Eros Ramazzotti! E poi ci si meraviglia che la stima dell’Italia all’estero sia in caduta libera, o peggio ancora si dà la colpa al Governo… Bè, lasciamo perdere e ripartiamo dalla geniale ipotesi ramazzottiana. Se bastasse una bella canzone a fare di un disco un capolavoro, “Hotel California” degli Eagles lo sarebbe senz’altro, dato che contiene l’omonima stupenda ballata, che apre l’album e in un certo senso lo chiude, dominando tirannicamente sul resto. Fin dai primi accordi di chitarra dell’introduzione si capisce che è in arrivo un grande motivo, e quando poi parte la batteria e scandisce l’inconfondibile ritmo sincopato, le promesse sono ampiamente mantenute. “Su un’autostrada deserta, il vento fresco nei capelli…”: già il primo verso introduce nel mondo degli Eagles, quello delle sterminate distese, assolate e spesso desertiche, degli stati della West Coast americana, e non importa se in realtà i componenti di questo gruppo provengono dai quattro angoli degli USA. E’ da questi ambienti leggendari che nasce l’ispirazione per il loro country-rock, più che altro rock (la componente country si limita all’uso virtuosistico e massiccio delle chitarre acustiche). O meglio è dal loro mito, uno dei tanti miti americani, ormai buono più che altro per la pubblicità delle automobili, perché poi la realtà delle strade USA, come ci insegna con crudo ma saggio realismo Bruce Springsteen, è ben diversa. Ma almeno con la musica si può sognare un’ America che non esiste più, e forse non è mai esistita. Il rock arricchito di caldi colori country degli Eagles, pur essendo americano per eccellenza, è risultato molto gradito anche all’estero, facendo di questo gruppo, dalla carriera tutto sommato breve, uno dei campioni di incassi degli anni ’70, ma almeno nel loro caso “commerciale” non è sinonimo di “spazzatura”, e se i contenuti sono quello che sono non si può non riconoscere la loro pregevole, certosina tecnica, oltre ad una certa inventiva melodica. Per tutti i 6 minuti e mezzo di “Hotel California”, fino al lungo e magistrale assolo finale di chitarra elettrica, siamo immersi nella foschia di un caldo tramonto californiano, dalla quale emerge il luccichio delle insegne di un hotel in mezzo al deserto, di una meta agognata quanto indefinita che è poi il sogno americano. Ma poi? Poi subentra la sensazione fredda di un graduale ritorno all’ordinario. Prima con il buon lento “New Kid In Town”, impeccabile miscela di bassi morbidi e nitide chitarre elettriche, senz’altro tra le cose da salvare, poi con un rock senza infamia e senza lode come “Life In The Fast Lane”, infine con il romanticismo di “Wasted Time”, con la sua introduzione pianistica classica e l’accompagnamento di orchestra d’archi, che riesce in qualche modo ad armonizzarsi con gli usuali suoni del gruppo. La melassa è pericolosamente in agguato, ma un motivo azzeccato salva tutto. “Victim Of Love” tenta di ricreare il sereno equilibrio country-rock dei primi Eagles, riuscendoci solo in parte. Fin qui il disco è andato avanti in modo più che decoroso, ma la banalità è in agguato nel finale: prima con “Pretty Maids All In A Row”, che a sentirla bene è un clone di “Take To The Limit”, poi con “Try And Love Again”, dalla melodia scontata, salvabile solo per i bellissimi effetti sonori delle chitarre, e infine con lo zuccheroso lento “The Last Resort”, il cui attacco di pianoforte promette molto, per poi sfociare in un refrain assai stucchevole. Particolare non da poco, il tema e i vocalizzi di questo finale sono stati rubati pari pari da Umberto Tozzi e trasposti nella sua dimenticatissima “Dimentica dimentica”, e già questo basta a rendere l’idea dello scivolone degli Eagles in questo frangente. Scivolone che chiude un disco tutto in calando, ma siccome “poggio e buca fanno pari”, nel complesso discreto. (Luca "Grasshopper" Lapini)