recensioni dischi
   torna all'elenco


FRANCESCO CAMIN  "Palindromi"
   (2018 )

Un disco pregiato, questo "Palindromi" di Francesco Camin. Il cantautore è laureato in Scienze Ambientali e Forestali, e due elementi spiccano chiaramente nella sua scrittura: la sua passione per gli alberi e la natura, e un certo sguardo scientifico che impedisce di scivolare in una prevedibile retorica ecologista. Le otto canzoni dell'album sono racconti intimi, affiancabili alla nota delicatezza di Niccolò Fabi. "Tartarughe" è uno sguardo malcelato alle persone attorno a sé, tradotte in animali: "Ho visto tartarughe sotto i ponti scaldarsi con i fogli di giornale (...) e un asino parlare ogni giorno (...) gli elefanti fermi nei cantieri (...) e le formiche rovesciare un trono". Il ritornello gioca tra la tecnologia e il settore primario: "Non c'è campo per comprare la verdura da mangiare (...) senza rete non si può pescare", e l'ultima volta viene cantato da un coro di bambini. "Palindromi" è uno sguardo fra amanti che filtra la realtà, a sua volta filtrata dall'informazione: "Due uomini si uccidono, e alla tv un finto naufrago". L'alcova diventa unica fuga possibile da un mondo che crolla: "Saranno le tue unghie a dirmi come stai (...) io morirò con te con la finestra aperta; se fuori tutto muore, io muoio dentro di te". "Abisso" è una richiesta di comunicare in maniera diretta: "Se devi dirmi qualcosa, tu dimmela in faccia, non risparmiare neanche una cartuccia". Una tromba valorizza l'arrangiamento. Dall'andante malinconico "Tasche" emergono le introversioni dell'autore; le tasche contengono parole e segreti mai confessati, di cui ci si vuole liberare per "nuotare con le balene". La poetica si riversa nel pezzo dall'inequivocabile titolo "Verde", che sembra essere la canzone manifesto. "In quel giorno il cielo era disarmato, digiuno di nuvole, io metallo quasi ossidato e la mia pelle nebbia e lui... ed era di cobalto la mia mano in alto, uno specchio immobile". Pezzo arricchito da violino e pianoforte, dove il sole, dal colore del miele, si fonde col cielo azzurro, formando così una tinta inedita, cantata fortemente in tripla voce: "VERDE"! Ci fa notare così, come in un'epifania, che il colore della Stella che ci dà la vita, unito a quello del cielo, dà proprio il colore che simboleggia la Natura. Solo una mente scientifica poteva rendere artisticamente significativo un dato puramente tecnico. E l'approccio continua in "Dovrei": "Non dovrei più cercare una scusa per non dire ti amo, è una paura che hanno solo i pesci... e noi non lo siamo". A fianco a righe umane come "Dovrei lasciare il cellulare spento", c'è: "Dovrei parlare ai cloroplasti di Milano e dirgli che non bruceranno invano". Questo è l'invito a cambiare prospettiva, variare il punto di vista. "Le cose semplici", come "Abisso" e "Tasche", è una volontà di cercare la semplicità, quando però chi scrive si affaccia anche con la propria complessità. La musica particolarmente leggera del brano, sostiene la volontà di osservare ed apprezzare ciò che è semplice, come gli uccelli che cinguettano e "la bellezza e l'onestà dei piatti tipici", al contrario dei discorsi dei politici "o il perché, il come dei pensieri cosmici". "Un gioco" è una tenue canzone, il cui testo è stato scritto da una vecchia amica di Camin, che pare essere in sintonia con il suo percorso. "Se tutto è un gioco, lasciami essere un albero secco e tu fuoco, bruciamo ignorando la nostra natura (...) lascia che sia quell'anello che porti da poco, di plastica verde, che non vale niente (...) E se arriva l'inverno tu lascialo fare, ma parlami come fossimo querce in un marzo infantile (...) noi siamo germogli, viviamo con poco, voglio nascere, fammi crescere in quel piccolo vaso di latta che non perderai (...) siamo muri di creta, ci possiamo plasmare". Francesco è mattutino, e scrive piccole gemme verdi, coniate con una mano gentile. (Gilberto Ongaro)