CULTURE CLUB "Kissing to be clever"
(1982 )
Se non sono travestiti non li vogliamo. Amavano David Bowie, si truccavano come delle bamboline sadomaso, e trovavano dei discografici che credevano in loro. Magari più nella immagine che nella voce, ma così era: Steve Strange, Pete Burns, Boy George appunto, prima di scadere con Marilyn e Martin Degville (dai, non potete non ricordare i Sigue Sigue Sputnik). George O'Dowd faceva di tutto - non fraintendete -, dal pr di discoteche al vetrinista, quando si accorse che la voce non era malaccio. Un po' di fatica per trovare qualche compagno di viaggio, e la creazione di un gruppo, i Culture Club, che erano l'emblema del politically correct: un moro ebreo, un biondo anglosassone, un nero caraibico e un irlandese travestito. Ci provarono con due singoli che non avevano grandi carte per sfondare, poi "Do you really want to hurt me" fece quello che fece, insieme al singolo natalizio "Time" che però non fece in tempo ad entrare nell'album. Che si faceva ascoltare eccome, in contrasto con le atmosfere new-wave, dark ed elettroniche che giravano all'epoca. Londra si svegliava con le nacchere di "I'll tumble 4 ya", con il regghettino di "Do you eccetera", e adottò questo strano pupazzo con il rossetto, primo esempio di Spice Boy visto sulla terra. La favola ebbe inizio, ma la freccia restò in cielo per poco: dopo un album, "Colour by numbers", di ancora maggior successo, le ali si sciolsero. E, ben presto, anche loro. Sarebbero tornati poi insieme, nel 1998, per una acclamata rentree. Intanto, in qualsiasi programma di revival eighties, Boy George non può mancare. (Enrico Faggiano)