recensioni dischi
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TREHUS  "When you're anything but ok"
   (2018 )

La tendenza retrofuture continua a proliferare, e un nuovo esempio è portato dagli italiani TrèHùs (il cui nome è una contrazione fantasiosa di "tree house"). Un'elettronica minimale, incrociata con una chitarra elettrica pulita dal suono ottantiano, sostiene le due voci, una maschile e una femminile, la cui defezione ha reso l'ex trio un duo, ma nel disco d'esordio appena uscito "When you're anything but ok" è ancora presente la sua voce. Il lavoro si caratterizza per un approccio incantato ai suoni notturni scelti, messi in risalto, come a tradurre il fascino per le storie di paura raccontate da ragazzini in una casa sull'albero. In "Ocean" le voci all'unisono hanno un esito simile a quello di "Seven seconds" di Youssou N'Dour e Neneh Cherry. "Orfeo", già dal titolo, suggerisce una dimensione onirica alla quale fare riferimento durante l'ascolto di queste note lunghe di chitarra e arpeggi delicati. Un battito più veloce in "Common ground" rende il pezzo il più orecchiabile dei sette. Un suono più acido in "Captivity" sposta la generale direzione cupo - ambientale in una situazione più animata. La voce maschile in "Don't leave me hanging" viene elaborata e compressa in modi diversi, e viene intessuto un groove di basso, che anche se non invita al ballo, lascia comunque un sentore di funk. Lo strumentale finale però sancisce la predilezione principale per i suoni bui, diretti a disegnare un'atmosfera nera come inchiostro ma non lugubre, come detto all'inizio questa è una notte osservata con lo sguardo incantato di chi per la prima volta viaggia per strada nelle ore piccole. Dunque TrèHùs è un progetto che può diventare interessante, se continua ad esplorare le oscurità musicali con questo stesso senso di fascinazione, anche utilizzando sonorità più innovative. (Gilberto Ongaro)