recensioni dischi
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AMUTE  "Some rest"
   (2018 )

Jérôme Deuson ha un animo inquieto, nascosto dietro il moniker aMute. Il suo nuovo album "Some rest" (appena uscito per la Humpty Dumpty Records) contiene gli elementi tipici della sua particolare proposta musicale, a metà tra il post rock e l'elettronica ambientale. In sei pezzi un intero piccolo mondo personale: la prima traccia, che è la titletrack, dura oltre diciassette minuti, ed è un'escursione tra calma apparente ed agitazione latente. Il violoncello, elemento strutturale nella musica targata aMute, è qui affiancato da due gravi e minacciose note di pianoforte, per poi far partire la batteria, dopo tre minuti e mezzo sospesi. Una fase nuovamente statica e cupa concede l'ascolto di una voce parlante radiofonica, in lontananza, tra le tessiture di chitarra elettrica e programmazioni. Quando la batteria tornerà la seconda volta in maniera più decisa, l'arrangiamento ospiterà dei campanellini, e in seguito i suoni atmosferici si spengono, lasciando da soli basso e batteria con la loro ruvidezza. E' difficile distinguere bene dove comincia il sogno dolce e dove l'incubo. Gli altri pezzi, di durata più consueta, masticano la stessa malinconia blu, come in "Lost in the middle", anche se "I've seen it all" viene invece aperta da suoni chiari e brillanti, che ci trasportano in una grotta di ghiaccio che riluce. La voce di Deuson arriva piano e nascosta, e gradualmente i suoni si scuriscono. Questa logica torna anche in "Dead cold": l'arrivo della voce segna un imminente cambio di rotta all'interno del brano. Dai suoni mesti e statici dell'inizio, si passa a vivaci arpeggi synth e un organo che apre al cielo. "The obsedian" viene realizzata assieme a Christophe Bailleau, altro artista nell'elettronica e nell'ambient. Il brano crea un crescendo che brucia nel noise, per poi decrescere e lasciare che violoncello e chitarra elettrica suonino lente note sopra le ceneri. "Maria", a fine Lp, è aperta da una voce che parla come in risposta ad un'intervista. Viene presto sostituita dal cantato emozionato di Deuson. Poi, una calda chitarra acustica ritma placida l'acquerello disegnato da archi e texture digitale, che ci congeda con una voce che canta al vocoder. Un lavoro che espone una personalità introversa, e che sa di sincero e di profondo. (Gilberto Ongaro)