recensioni dischi
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EOINS  "Rites"
   (2018 )

Quando da ragazzo, dagli altoparlanti della vecchia radio di mio padre, sentivo “Alla fiera dell’est” di Branduardi, la mia immaginazione volava nelle piazze di quei mercati così lontani e, non so per quale strana ragione, ero convinto che fossero stracolmi di oggetti insoliti ed originali, per cui venivo attratto da qualsiasi cosa provenisse da quelle terre misteriose e poco conosciute. Ascoltando “Rites”, l’album d’esordio di Madis Järvekülg in arte Eoins, finalmente dopo tanti anni la mia immaginazione, anche se spostandosi un po’ più a nord, ha trovato le sue conferme. Il disco d’esordio del cantante estone è infatti un lavoro singolare, che per alcuni aspetti richiama le sonorità di una giovane Bjork, ma che fa dell’originalità il suo punto di forza. Le nove tracce che compongono “Rites” spaziano dal folk al post-punk, passando da accordi indie rock o a sonorità psichedeliche, ma che hanno come comune denominatore le irrequiete convulsioni ritmiche e armoniche, di chiaro stampo elettronico. Il progetto di Eoins non è di sicuro un prodotto di massa, e il termine “mainstream” poco si addice al suo disco, che è tutt’altro che convenzionale e di facile ascolto. “Rites” ti stupisce fin da subito, grazie ai repentini cambi di registro che caratterizzano l’ascolto dei primi tre brani. Da “Hangman”, episodio di apertura, in cui si viene letteralmente “investiti” e “ipnotizzati” da elettronici ritmi tribali, si passa a “Shiver & Shrug” un eccentrico brano indie/folk dove la malinconica voce di Eoins trasmette tutta la sua inquietudine, e si finisce con “What the Future Holds” , brano totalmente permeato da ossessivi battiti elettro/techno. Continuando l’attento ascolto, ci si imbatte in “Valley oh glittering haze”, che scivola via con i suoi duri e “sconnessi” riff di chitarra, la cui aggressività si riversa in “Retrospect” e “Forever gone astray”, dove l’indie-rock anni '90 si unisce all’elettronica minimalista e d'avanguardia, rendendo i brani molto godibili all’ascolto. Nel finale del disco le sonorità tendono a “regolarizzarsi” e a seguire una linea vocale meno tortuosa, come in “Suddend Death Mode”, brano in cui spicca un’arrangiamento davvero curato e un’eccentrica tromba nel finale, che però ho particolarmente apprezzato, grazie a certe “armonie” indie folk, che mi hanno fatto venire voglia di mettere sul piatto del mio vecchio giradischi “In The Aeroplane Over The Sea” dei Neutral Milk Hotel. “Timelock” e “Hangman, Pt II” chiudono l’ascolto di “Rites”, che è di certo un album che può apparire inizialmente ostico, acidulo ed inquietante, ma che ascolto dopo ascolto ti permette di entrare in simbiosi con le sue sonorità e con la purezza della vena sperimentale di Eoins, fino ad apprezzarne le raffinate e talvolta complesse architetture sonore. Un disco che testimonia la grande capacità compositiva dell’artista estone, a cui forse consiglio di alleggerire le sonorità che spesso, nonostante il ripetuto ascolto, restano comunque difficoltose nella comprensione. (Peppe Saverino)