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THE CURE  "Torn down"
   (2018 )

È vero. È vero. Una compilation non potrà mai essere equiparabile ad un album in studio. Se non proprio una minestra riscaldata, i vari progetti finiscono per essere un insieme di canzoni che gli appassionati hanno assimilato, digerito e rimangiato triliardi di volte. E’ vero. Ma quando un album in studio manca all’appello da dieci anni, ogni scusa è buona per considerare una compilation come la vigilia di Natale. E, quindi, è con questo spirito che ci accostiamo a “Torn down” che, ad essere sinceri, proprio una pigra e svogliata raccolta NON è. Non lo è a cominciare dal fatto che il remix dei pezzi (16 in totale) è esclusiva opera di Robert Smith e, per volontà del grande leader della Cura, i brani non sono i “soliti” singoli già proposti in raccolte passate. Inizialmente Robert Smith pensò di affidare i remix ad artisti scelti, ma l’ambizione del progetto spinse (dall’agosto del 2017) il leader a provarci in prima persona. È sempre Smith ad aiutarci a capire la genesi di “Torn down”, sostenendo che “galeotta” fu la versione dub di ''Pictures of You'' creata da Brian Chuck New: “Appena l’ho ascoltata ho cambiato i miei piani. Ho sviluppato una nuova ambizione: volevo un album che fosse contemporaneo ma senza tempo, immediato ma non ovvio, ritmicamente eccitante e con un suono grandioso”. Se, poi, aggiungiamo che l’uscita in vinile di “Torn down” coincide con il “Record Store Day” 2018, ovvero la grande festa del disco celebrata in tutto il mondo da qualche stagione a questa parte, e che, infine, questo RSD combacia con il compleanno di Robert Smith… beh, ci sentiamo di vivere la nuova uscita ufficiale dei Cure come un episodio di valore. “Torn down”, oltreché nella versione in vinile a tiratura limitata per il RSD, sarà parte integrante della Deluxe edition di “Mixed up”, triplo cd che comprende l’album di remix del 1990, rarità del periodo e la raccolta oggetto di queste righe di commento. La parte grafica è vincente. Una bella copertina, insomma. Tra scritte che ripetono i fonts di “Mixed up” si staglia un primo piano di Robert Smith, un ritratto dipinto a olio, risalente all'estate del 1990 e originariamente concepito come copertina di “Mixed up”. Dopo “Disintegration” e “Bloodflowers” è, a conti fatti, la terza uscita discografica che mette in primo piano il solo ed unico leader: beh, facile constatare, allora, quanto “Torn down” si trovi in buona compagnia! (i più pignoli vorranno aggiungere anche la copertina del “Greatest” del 2001, ma era talmente brutto quell’episodio grafico che ho preferito concedermi un attimo di amnesia). Attraverso voci ufficiali, si apprende come Smith abbia scelto brani significativi/preferiti in luogo dei soliti singoli, volendo illustrare la varietà del catalogo Cure, in un modo ancora inesplorato. E poi? Poi le canzoni, secondo una scelta che vuole prendere un brano a campione ed in ordine cronologico tra i lavori sulla lunga distanza lanciati sul mercato dalla band, per un viaggio lungo quattro facciate in cui riscopriamo canzoni fondamentali del catalogo rivestite a nuovo, senza per questo vederle trasformate o depauperate dell’antico fascino. Con l’apertura di “Three imaginary boys” e la successiva “M” (robotica e glaciale e, se possibile, ancor più anni ’80 dell’originale) non possiamo che esaltaci nella bontà del progetto. “The drowning man” parte con i soli tasti in primo piano e finisce per essere il remix più minimale di “Torn down” (così vincente da farci dimenticare che “Faith” non trova alloggio tra gli estratti del lavoro), mentre “A strange day” è il brano dove il quid pluris rispetto all’originale è inferiore rispetto agli altri. Si pesca da ogni uscita sulla lunga distanza, come si diceva; e così anche la raccolta di singoli “Japanese Whispers” trova accoglienza in “Torn down” con “Just one kiss” (quindi, in “panchina”, “The walk”, “Let’s go to bed e via enumerando); facile leggere “Shake dog shake” quale estratto di “The top”, mentre “A night like this” (ma quanti fiati in apertura!!!) è il pezzo che ha l’onore di rappresentare l’album del 1985. “Like cockatoos” per il “Kiss me album”? Ecco, forse è questa la leggerezza di Robert nella scelta dei 16 magnifici della compilation, anche se il remix ne esalta un percorso onirico e quasi fantascientifico. Il leader non può invece sbagliare con “Plainsong” quale testimonial di “Disintegration”: chi conosce la band sa che cosa vuole dire questo pezzo, ed era l’unica presenza veramente obbligata di “Torn down”. Il vestito nuovo che le confeziona il suo padre padrone è affascinante perché le consente di modernizzarsi mantenendo proprio tutti i suoi antichi pregi (facile immaginare la puntina del giradischi logorata tra i solchi del vinile, nei lunghi e ripetuti viaggi “sull’orlo del mondo”). “Never enough” ha un incedere più rilassato rispetto alla versione tradizionale, non certo una love song, ma un brano dalla cadenza meno sincopata. “From the edge of the deep green sea” parte con la voce di Robert Smith, pulita e nitida è scelta in modo da sovrastare tutti gli altri strumenti, e “Want” (il doveroso estratto da “Wild mood swings”) presenta un incedere una tacca più lenta rispetto all’album in studio. Da “Bloodflower” il capitano sceglie “The last day of summer” (ed il nome scelto per il remix è un azzeccatissimo “31st august mix”) in cui dolcezza e malinconia create dai tasti si fondono con chitarre lacrimose che non lasciano speranza anche ai cuori più duri; “Cut here” (in effetti non dona più di tanto sia a“Torn down”, sia alla sua prima versione) lascia il finale per gli ultimi due brani, in rappresentanza di “The cure” e “4.13 dream”. “Lost” era la canzone migliore del lavoro di inediti del 2004 e facciamo un plauso al sig. Smith per essersene ricordato (qui, le aggiunte di suoni percussivi rendono quasi tribale il brano), mentre un po’ di amaro in bocca rimane per non poter ascoltare il remix di “Underneath the stars”, sicuramente la gemma dell’ultimo in studio dei Cure. “It’s over”, tuttavia, di quell’album è seconda solo alla sopraccitata canzone ed il remix di Smith (“Whisper mix”) ha il pregio di rendere ancor più trascinante la cavalcata. Sarà l’entusiasmo del momento, sarà una certa mancanza di obiettività, ma mi pare di avere pochi dubbi nell’affermare che “Torn down” è la migliore tra le compilation partorite dai Cure. (Gianmario Mattacheo)