recensioni dischi
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RICCARDO MAFFONI  "Faccia"
   (2018 )

Dopo 7 anni dall'ultimo lavoro pubblicato, ritorna Riccardo Maffoni, cantautore vecchia scuola, già vincitore di Sanremo Giovani del 2006 e ospite fisso dei Nomadi. La sua voce è accompagnata da una rock band e i testi fanno emergere i suoi pensieri senza filtri, anche quando scomodi. Ci mette insomma la "Faccia", che è il titolo del nuovo album uscito nel 2018. "Provate voi" è l'invettiva d'apertura, rivolta a chi di solito questa musica non l'ascolta, ma non sia mai che per sbaglio ci si imbatta. Le parole sono inattaccabili e basta riportarle senza commento: "Provate voi a camminare senza scarpe, provate voi a vivere senza un tetto (...) ad avere i genitori ammazzati davanti agli occhi, a non essere nessuno per il colore della pelle (...) e poi venite a raccontarmi se non vi viene voglia di scappare da questo mondo e di non tornare più. Quando la gente che ha tutto alla fine ci ride su, perché alla fine se non succede a te è un problema che non esiste, il fatto non sussiste". Il sound da songwriter americano accentua la convinzione dell'interpretazione. "Faccia" invece è un 6/8 meno spigoloso ma ugualmente amaro: "Ci vuole faccia per resistere al peggio, ci vuole culo per sfondare i muri, e devi essere un duro, devi imparare a restare solo". Il ritornello cerca una magra consolazione: "Ma non è tutto qui". "Cambiare" è un rock con una melodia più blues, ed è un vago ammonimento alla direzione violenta dei nostri tempi: "C'è un uomo che urla alla radio", anche se ci sono versi più giocondi ("Ho un pozzo di petrolio in cantina, nessuno mai mi crede"). Se in questa canzone i saggi continuano a ripetere che bisogna cambiare, "L'uomo sulla montagna" invece non è un saggio con la barba bianca, bensì un uomo dimenticato e in solitudine: "Solo sulla tua montagna guardi la valle laggiù (...) mentre le luci della notte si accendono intorno a te, il buio cresce dentro di te". Spazio a una ballata romantica con "Sotto la luna", che porta un po' di delicatezza tra le rocce. E questa fase dolce si protrae nel lento atmosferico "Quello che sei", che recupera lo spirito critico nel testo ("Comodo pensare [che] sono sempre gli altri a sbagliare"), ma la melodia cantata nel ritornello è di ampio respiro come una dei Pooh. Ancora un suono morbido per "Le ragazze sono andate", con accordi di settima maggiore sulla chitarra acustica. Una canzone sull'addio alle donne che se ne vanno, ancora incomprese da quegli uomini lasciati, che non si sono comportati egregiamente ("violenti vecchi e sporchi come randagi"), ma mantiene quel tipico sguardo ingenuo dell'uomo che non "capisce" la donna e il suo "mistero". L'intenso finale è un crescendo che ospita anche fiati. Poi Maffoni prova l'elettronica in "Mi manchi di più", con una drum machine e un piano elettrico, che strizza l'occhio alle tendenze giovanili dell'indie pop (pensando a Giorgio Poi), importandoci però l'esperienza, soprattutto nella costruzione della melodia. Ritorna l'allegria intelligente del blues rock in "Sette grandi", canzone marpiona come una della Steve Rogers Band ("Giovane allegra, butta la sveglia, di tempo ce n'è. Siamo animali, senza i vestiti mi piaci di più!"), su uno sfondo geopolitico inquietante. In pratica, è un invito a una notte di sesso come unica consolazione in questo mondo, dove i Sette Grandi della Terra del G7 tenutosi a Taormina si fanno i loro affari senza ostacoli ("Sento già che arriva il caterpillar"). "La mia prima constatazione" è un dolceamaro shuffle dove Riccardo cerca di "far quadrare questa rivoluzione", mentre "il sentiero si è fatto più stretto, ed è accogliente quanto un gabinetto". Constatazione meno brillante ma ugualmente lucida quella de "Il mondo va avanti", pezzo di resistenza: "La gente continua a lottare anche quando sta male", e chiude con un ottimistico "la vita ci sorriderà". "Senza di te" invece si focalizza sulla malinconia della solitudine, con una chitarra elettrica con delay, e crea un'atmosfera umida, coerente con la pioggia del testo. Lentamente arriva la band in maniera soft, fino ad accendersi e ad essere sovrastata da una solenne tromba. Lo strumentale "Scala D" per chitarra acustica, glockenspiel e il delay elettrico di prima, è un dolce anticipo del toccante dessert dell'album, per solo piano e voce: "Tommy è felice". Il testo lascia capire un poco alla volta chi sia Tommy, e soprattutto da dove sta parlando chi canta, e non lo svelo, va ascoltato e colto da soli. Una vera perla in chiusura a un album carico di spirito critico, che termina con la poesia. (Gilberto Ongaro)