SHAME "Songs of praise"
(2018 )
Da Londra, i poco più che ventenni Shame, dopo aver pubblicato qualche singolo, si buttano nell’avventura dell’album di debutto, e con “Songs of praise” provano ad osare. Abbiamo letto nei mesi scorsi di come il loro sound pare essere fortemente ispirato alla scena punk e post punk di qualche anno fa. Tuttavia, l’inizio di “Songs of praise” ci porta una band che ha un certa melodica distorsione assimilabile ai più rozzi Sonic Youth. È così che leggerei “Dust on trial” e (almeno per la parte introduttiva) l’ancora più efficace “Concrete”. Questa band, nata e formatasi attorno al Pub “Queen’s head” di Brixton, ha decisamente un atteggiamento poco incline agli stereotipi che il mondo musicale ci propina quotidianamente. Da interviste lette o, ancora, dai testi emerge una posizione di scontro, un NO deciso (e schifato) urlato per rimarcare una differenza. Così, basta citare le parole che aprono “One rizla” per capire il sopraccitato assunto: “Le mie unghie non sono curate, la mia voce non è la migliore che hai sentito, e puoi scegliere di odiare le mie parole, ma me ne frega un cazzo”! Disgusto sociale, ma anche sensibilità politica per gli Shame, se uno dei bersagli preferiti è la Premier May, colpevole di fare gli interessi di pochi eletti e a cui la band aveva dedicato un singolo (non compreso nel lavoro sulla lunga distanza).
“Tastless” purtoppo mi puzza di un certo plagio, anche se il padre del pezzo continua a sfuggirmi dai ricordi (maledizione, perché non riesco a fare quest’ultimo sforzo mnemonico?...). L’immagine della band è molto punk, se per punk intendiamo qualcosa che sia contro e non massificato dal sistema. Dal front del cd, ci piombano davanti cinque anonimi ragazzi (alla Feelies, direi), e sarà sufficiente accostare gli abiti che i cinque londinesi sfoggiano nella copertina alle parole pronunciate in un’intervista dal cantante Charlie Steen, per capire la loro linea di pensiero: “Penso che l'idea della giacca di pelle che indossa la rockstar, insieme al binomio donna e droga, debba essere bruciata”. Ci piace “The lick”, con un cantato/parlato che ci dona una sorta di spoken post punk songs; “Friction” nasce più corale rispetto alle altre, ed il finale di “Angie” è un incontro tra un recitato ed un’apertura melodica non disprezzabile. Proviamo una certa simpatia per la “Vergogna” (Shame, appunto), almeno perché sentiamo parecchia genuinità. In merito al discorso più prettamente musicale, rilancio le loro parole con le quali il gruppo chiudeva una recente intervista: “Musica? Non ne sappiamo nulla. Non ne abbiamo mai sentito parlare”.
(Gianmario Mattacheo)