GUY ONE "#1"
(2018 )
"Questa non è world music, questa è local music". Così comincia il comunicato che riceviamo per l'album d'esordio del ghanese Guy One, "#1", uscito per la Philophon Records. L'etichetta è tedesca, poiché quest'uscita internazionale è stata possibile grazie all'incontro fra Guy One e il musicista e produttore Max Weissenfeldt, che l'ha lanciato a livello mondiale dopo un incontro che risale al 2010, quando entrambi non conoscevano rispettivamente la lingua dell'altro, e dovevano comunicare solo a gesti e intuito musicale. Però la musica per l'appunto, non è "world" nonostante la collaborazione col tedesco. Guy One appartiene all'etnia Frafra, che si trova tra Ghana e Burkina Faso, e il tipo di musica che propone ne assume il nome e le caratteristiche locali, senza aggiunte edulcoranti pseudo ambient da turista, che possano traviare lo spirito originario. Guy One suona il kologo, uno strumento a due corde simile al banjo ma con un suono decisamente più africano. Gli otto brani proposti nell'album "#1", oltre ad avere titoli in ghanese, non hanno la forma di canzoni. Sono strutturati come flussi continui di ritmiche complesse, sulle quali cantano cori misti all'unisono e compaiono fiati, sia flauti che anche sax e tromba. E' evidente l'approccio all'interazione fra musicisti e pubblico, con un invito a ballare e a cantare insieme (specie in "Nongre, Nongre - Sugre, Sugre"). E ovviamente la presenza costante del kologo è la firma di Guy One, che è il musicista più quotato della zona, invitato a tutte le manifestazioni pubbliche. Oltre a kologo, fiati e percussioni, stupisce un po' l'arrivo di tastiere in certi pezzi come "Bangere Tomme?", dove l'incipit è diretto da un hammond che tesse delle melodie vagamente inquietanti, come un film sugli alieni degli anni '60, o in "N'yella Be Bobere?" dove spunta un piano elettrico che invece ha un'intenzione più funky. Nei pezzi finali c'è anche spazio per un vibrafono. L'interpretazione che posso dare personalmente, da ascoltatore bianco italiano, è abbastanza superflua, in quanto certi significati, non solo dei testi ma anche della funzione musicale, sono noti solo ai Frafra. Se mi esprimessi sembrerei solo un turista incuriosito: ci vuole la giusta preparazione etnomusicologica specifica, per dire qualcosa di pertinente. E a parte il giusto orgoglio per tale popolazione, ci si chiede quale sia la destinazione della fruizione di questo tipo di prodotto in Occidente, se non i centri culturali che possono diffonderla per il nobile fine della conoscenza e dell'integrazione. Indubbiamente affascinerà chi vuole ascoltare VERA musica etnica, non la versione annacquata su base hip hop come quella delle compilation da yoga. (Gilberto Ongaro)