recensioni dischi
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ALPHAVILLE  "Forever young"
   (1984 )

Tedescacci come pochi, tanto da cantare “Summer in Berlin”, “To Germany with love”, e da avere un accento per cui il nome dell’album sarebbe da pronunciare “Furever”. Figli dell’elettronica anni ’70, che vedeva nei Tangerine Dream e nei Kraftwerk i precursori e inarrivati leader, univano alle tastiere il vocione del cantante Marian Gold, capace di passare da tonalità bocelliane a falsetti senza nemmeno dover passare dal via. E con dei labbroni scolpiti avendo con modelli due giganteschi wurstel. Mischiando atmosfere cupe a dance-songs di discreta fattura, nell’estate 1984 trovarono la quadratura del cerchio con una “Big in Japan” diventata successivamente un classico, rifatta subito da Sandra – allora ancora anonima cantantina – in lingua madre (“Japan ist weit”), e molti anni dopo dai rocchettari su skateboard Guano Apes. Raccontando degli strazi di una prostituta, il trio germanico ebbe immediato riscontro, bissato subito dopo con la meno dark “Sounds like a melody”, per poi triplicare con la titletrack, lento sintetizzato da ascoltare rigorosamente con accendini elettronici sparati al cielo. Meno trash di altre cose che sarebbero usciti dai confini teutonici negli anni successivi, ebbero anche l’onore qualche anno dopo di una ristampa di questo album, insieme ai singoli usciti dal successivo – e meno fortunato – “Afternoons in Utopia”, solo per il mercato della DDR: i fratellini orientali non avevano avuto l’onore di sentire i primi successi del gruppo, e dovettero aspettare due anni per poter usufruire delle melodie alphavilliane (sarà per questo che poi buttarono giù il muro? Per non dover aspettare ancora?). Un colpo e via, il gruppo perse un pezzo già qualche mese dopo il successo, e mai seppe risalire ai vertici di successo, perdendosi in qualche bizantinismo elettronico di troppo. Eppure sembrano ancora vivi e vegeti, suonando live per chiunque voglia. Labbroni compresi nel prezzo del biglietto. (Enrico Faggiano)