recensioni dischi
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SWINGROWERS  "Outsidein"
   (2018 )

Se lo spessore di una band si potesse valutare dalla qualità e dalla quantità dei palcoscenici calcati nell’arco di una carriera, gli Swingrowers da Palermo - Roberto Costa programming, Alessio Costagliola chitarra, Ciro Pusateri sax e clarinetto, Loredana Grimaudo autrice ed imprescindibile vocalist, marchio indelebile sul progetto – godrebbero di una popolarità pari ai Radiohead. Non è così, ma i ragazzi sono ben noti, magari non tanto chez nous: oltremanica invece ricevono plauso pressoché unanime tra critici, censori e pubblico entusiasta della scena neoretrò, guadagnando una notorietà tanto meritata quanto impensabile nella Terra Dei Cachi. “Outsidein”, pubblicato per la Freshly Squeezed Music di Brighton a tre anni e mezzo da quel “Remote” che ne ribadì con forza la caratura ed il terreno di elezione, è il loro terzo album in otto anni di vita, un’elegantissima summa dell’arte che li vede protagonisti assoluti in terra d’Albione e non solo (sono andati sold-out per due serate al Blue Note di Tokyo non più tardi di qualche mese fa), dieci episodi di levigata raffinatezza che impastano generi e sottogeneri di un secolo fa con tutta la coolness che il sound engineering e la contemporaneità portano in dote. A prevalere nella prima parte dell’album è il groove, che vive sul pulsare arrotondato dei bassi e sui contrappunti del sax nella suadente “Follow Me”, sugli intermezzi strumentali che assecondano il beat sornione di “Selfie Face” o sul tema incalzante dell’opener “No Strings Attached”: musica di respiro prettamente internazionale, quella di “Outsidein” è una superba declinazione di sonorità che rimandano alla club music più incline all’electro-swing, area White Mink per intenderci. E fin qui ci troveremmo al cospetto di un sontuoso prodotto di r’n’b vintage e quant’altro (emblematica “My Mood”) realizzato da un virtuoso ensemble italiano da esportazione. Poi, ad un tratto, la scrittura cambia. La melodia prende il sopravvento sulla ritmica – martellante, febbrile - che nei primi quattro brani domina la scena: all’improvviso, dalla traccia numero 5 (il nu-soul di “Healing Dance” con prezioso cameo di Davide Shorty) “Outsidein” muta pelle di colpo, virando su tonalità minori che conferiscono all’insieme un’allure così dolcemente antica da perdercisi col sorriso stampato in faccia. Il singolo “Butterfly” – così catchy, così perfetto in quei tre minuti e mezzo – è semplicemente un colpo da maestro; “Tit For Tat” ha una trama di chitarra che vale da sola il prezzo del biglietto, come il break di sax o qualsiasi altro frame che riusciate ad individuare nei duecentocinquanta secondi che vi fanno agitare sulla sedia dell’ufficio o al volante nel traffico. E se “Here To Stay” indugia su linee più funkeggianti, tra un chorus appiccicoso e qualche traccia della Kelis di “Trick Me” nascosta in briciole nella strofa, “Jukebox” accelera in un be-bop assassino prima della chiusa di “Just Do It”, frenetica ricercatezza à la Swing Out Sister che suggella con classe sopraffina un album di inimitabile finezza. Terribilmente stylish, calibrato, inappuntabile. (Manuel Maverna)