recensioni dischi
   torna all'elenco


PETER GABRIEL  "Peter Gabriel (IV)"
   (1982 )

Dopo i primi due timidi e incerti tentativi di spiccare il volo dal caldo e sicuro nido Genesis e dopo un terzo album già più maturo e personale, al quarto tentativo Peter Gabriel trova finalmente la corrente amica, quella che gli permetterà di raggiungere quote elevatissime, con un picco da vertigini nel capolavoro “Passion”, vero modello da porre all’attenzione di chi elargisce troppo facilmente qua e là patenti di “musica etnica”. La sua inquieta fame di ricerca musicale comincia ad essere saziata grazie alla scoperta del primitivo fascino dei suoni tribali africani, adattati al gusto occidentale mediante certosine elaborazioni elettroniche, che Peter realizza da maestro nel personale studio di registrazione, che è poi la sua casa. Il suono di questo album va in direzione opposta alle tendenze in voga negli anni ‘80: invece di un impasto di morbidi bassi e pulite batterie, qui prevale una base ritmica secca e prepotente, che a tratti sembra offuscare gli altri strumenti e anche la voce. Ciò è particolarmente evidente nei brani di ispirazione africana, come la scatenata “Kiss of life”, vero festival del tamburo, e soprattutto la travolgente “The rhythm of the heat”, con partenza in sordina e magico crescendo di tensione, creato sia dalla batteria, sempre più perentoria, sia dalla voce di Gabriel, sempre più drammatica, con la ciliegina sulla torta della fragorosa entrata di una sezione di vere percussioni africane nel pirotecnico finale. Altro capolavoro concepito in crescendo è “San Jacinto”: qui il compito di creare un clima di attesa è affidato ad un motivo orientaleggiante suonato dalle tastiere, che sembra avvolgersi su sé stesso fino ad ipnotizzare l’ascoltatore, preparandolo ad apprezzare in pieno il maestoso e coinvolgente finale. Del resto, sia pure architettata in modo più complesso, anche la suggestiva “Lay your hands on me” basa molto del suo fascino sul crescendo che dalle strofe quasi sussurrate porta alla disperazione lancinante del motivo principale, sottolineata anche da nervose scariche di batteria. Anche i brani più elementari valorizzano le sonorità delle percussioni: vale per “Shock the monkey”, il successone del disco, e per l’altrettanto brillante “I have the touch”. Poderosi interventi di batteria non mancano neanche in quello che sembrerebbe avvicinarsi ad un lento, “The family and the fishing net”, momento più tetro e misterioso del disco e unico esempio di continuità con il clima prevalente nel terzo album. In mezzo a tanto movimento spicca un solo esemplare di canzone melodica, uno solo ma di rara bellezza: con “Wallflower” Peter Gabriel fa capire che se il suo interesse è attualmente rivolto ai ritmi primitivi, non vuol dire che le origini genesiane siano state dimenticate: dal vellutato inizio, con note di pianoforte che emergono da una nebbia di suoni elettronici, al sontuoso finale, decisamente strappalacrime, è commozione pura. Rende più vario e completo un ottimo disco. (Luca "Grasshopper" Lapini)