recensioni dischi
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RICHARD JAMES SIMPSON  "Sweet birds of youth"
   (2018 )

Si chiama “Sweet Birds of Youth” l’album di debutto solista di Richard James Simpson, cantante e chitarrista americano, precedentemente membro degli Invisible Chains (insieme alla musicista Carla Bozulich) e dei Teardrain con Jill Emery, che aveva già suonato in band quali Hole, Mazzy Star e Super Heroines. Stavolta invece Simpson decide di presentarsi e proporsi come solista, avvalendosi della collaborazione di musicisti come Joey Burns, Dustin Boyer e Theo Welch e affidando il mastering a Geza X, icona del punk e produttore per Meredith Brooks, The Germs, Dead Kennedys e Black Flag. Il disco si compone di diciotto tracce – di cui “Roller” e “Taking Sides” faranno parte del film in uscita “The Letter Red”, un adattamento moderno del “Macbeth” shakespeariano – in cui l’artista «cerca di catturare e dare una chiave di lettura di un particolare intervallo di tempo nella vita di una persona, con tutta la complessità, bellezza, le cicatrici, la gioia, le lacrime, i passi falsi e la meraviglia di cui tutti facciamo esperienza»: è quindi introspettivo e riflessivo il suo atteggiamento, volto a un’analisi di un periodo della propria vita, che dal particolare passa al generale e si rivolge a un pubblico, a una complessità di persone che possono aver avuto esperienze di vita diverse, ma sono accomunate dalle emozioni e percezioni che esse hanno comportato. Non tutti i brani sono recenti o inediti, anzi essi appartengono a differenti momenti della vita di Simpson, alcuni risalgono anche a molti anni addietro e sono stati rivisitati e rinnovati per adattarli al presente. Ciò che balza subito all’ascolto è la grande varietà di registri e stili musicali: «vignette sperimentali, melodiche, canzoni per band intera e armonie e strumenti ad arco», in un tentativo di fornire una visione quanto più completa (e per questo sfaccettata) del panorama musicale e anche del mondo intorno a noi. Nonostante questa poliedricità, l’album risulta omogeneo e scorrevole e si vedono chiaramente, come un filo conduttore, gli artisti d’ispirazione a cui Simpson si richiama: David Bowie, Iggy Pop, i Soundgarden, i Pixies, PJ Harvey, i New York Dolls, Brian Eno, i Beatles, anche se non sono i soli ad aver avuto un grande impatto su di lui (nella sua formazione musicale egli include anche esponenti della musica classica come Beethoven e Schubert). Dopo il breve interludio strumentale di “Birds”, il disco parte con grande carica con “Bulls”, fra chitarre distorte e atmosfere acide e rock, ma al tempo stesso sensuali e avvolgenti, declinazioni guidate dalla sua voce capace di assumere tratti sia graffianti che morbidi, come in “Moonbeams Arms”, ballata che si pone come ninna nanna e che Simpson ha scritto pensando a un figlio che un giorno avrà. Il lavoro è strutturato su questa alternanza sia di durata delle tracce che di cambi di registro e tonalità: “Roller” è un pezzo particolarmente sensuale, quasi provocante, nel ritmo e nella distorsione un po’ ovattata della voce, per poi esplodere in un riff di chitarra per niente dolce e melodioso che si prolunga nella traccia seguente, “Roll 3”. Accanto a brani a più voci a cappella (tra cui quella di Joey Burns) come “You” ne troviamo altri come “10”, riferito alla dottrina pitagorica che vede in tale numero la perfezione, trasudante sonorità che fondono punk e psichedelia, ritrovabili anche in “I Can, But I Can’t”. In “Spirit Plus” Simpson cerca di fondere atmosfere e suggestioni provenienti da Kubrik e Bowie, due artisti che egli ha sempre ammirato e da cui trae ispirazione; “10 Estrellas” è invece la traccia conclusiva, distorta, acida, quasi marcia, ma che trova nelle tre parole pronunciate alla fine, negli ultimi tre secondi della canzone, un esito positivo ed edificante. “Sweet Birds of Youth” è un lavoro interessante e variegato, in cui Simpson dimostra e conferma la sua validità nel panorama musicale, non solo come strumentista e componente di una band, ma anche come cantante e songwriter, come solista appunto, tanto che l’ascolto del disco non incappa in momenti morti o noiosi, ma è sempre sospinto da un’alternanza che lo rende piacevole e scorrevole. Che dire: buona la prima!, e speriamo che in futuro continui la sua carriera in modo altrettanto coinvolgente e intrigante. (Bianca Bernazzi)