recensioni dischi
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IVANO FOSSATI  "Lampo viaggiatore"
   (2003 )

La vita dell’appassionato di Ivano Fossati non è delle più semplici. Ricorda un po’ quella di chi fa trekking e sa che per conquistarsi i posti e i panorami più incantati bisogna seguire i sentieri più impervi, rimanere spesso infrenati nei rovi e qualche volta rischiare di perdersi. Però alla fine le soddisfazioni sono maggiori dei fastidi, e quindi non solo ci si abitua alle contorsioni musicali e ai testi enigmatici del nostro Ivano, ma quando ad un certo punto vengono a mancare si rimane un po’ spiazzati. E’ quello che succede ascoltando “Lampo viaggiatore” (2003): sembra che Fossati si sia imposto l’obbligo della semplicità, con risultati sorprendenti. La svolta è senza dubbio positiva per i testi, che nei precedenti dischi avevano raggiunto livelli di incomprensibilità tali da offrire difficoltà d’interpretazione anche al Bartezzaghi, famoso enigmista. Con la chiarezza ricompare anche una certa attenzione ai temi attuali, come in “Pane e coraggio”, dove il dramma degli immigrati che tentano di passare “da una terra che ci odia ad un’altra che non ci vuole” viene stemperato in un tranquillo ritmo di reggae al rallentatore, con fisarmoniche più paesane che inquietanti. Forse per le musiche gli “sfoltimenti” non erano neanche necessari, ma Fossati deve essere stato preso da una febbre semplificatrice, tale da produrre secchi e nervosi elettro-soul come “La bottega di filosofia” e “Contemporaneo”, senza dubbio i due brani che più spiazzano il vecchio fossatiano. Il modello sembra il Donald Fagen di “Nightfly”, e sarebbe ottimo, ma la voce monocorde e i testi ancora piuttosto elaborati non si sposano bene con questi ritmi. Esperimenti interessanti, comunque. Un po’ meglio “Lampo (sogno di un macchinista ferroviere)”, filastrocca dall’inizio paurosamente simile ad “Attenti al lupo” di Dalla, che poi si riprende grazie ad un caldo sassofono “con la sua parlata grassa” (direbbe Paolo Conte), e al testo, rapida serie di nitide immagini: più che un sogno è quello che un macchinista fantasioso può vedere davvero. Più convincente è il ritorno alla vecchia passione per il reggae e i ritmi caraibici, che risale ai tempi di “Traslocando”, per non dire di “Panama”. Oltre a “Pane e coraggio” i risultati sono “La bellezza stravagante”, con ipnotici echi di musica delle Antille, e soprattutto “Io sono un uomo libero”, un vero e proprio reggae con testo-confessione molto sincero, il cui inizio è: “Esco di rado e parlo ancora meno…”. Sì, è proprio la stessa canzone più nota nella versione di Celentano, al quale negli ultimi tempi va dato atto di usare la sua enorme popolarità per diffondere grandi autori anche tra un pubblico che di regola li ignora. Finora tutto semplice e liscio, ma possibile che delle classiche “riflessioni al pianoforte” non ci sia traccia ? Ci sono, ci sono… Intanto c’è “Il bacio sulla bocca”, intensa e maestosa ballata con grande protagonista la fisarmonica, ma gli episodi che ci ridanno il Fossati più toccante e profondo, sono due: “C’è tempo” e “Ombre e luce”. Commoventi e sofferte, entrambe basate sul pianoforte, che in questo disco è stato un po’ risparmiato, entrambe con un bellissimo tema che tiene insieme tutta la complicata trama: in “C’è tempo” ritorna alla fine di ogni strofa esposto dalla fisarmonica, in “Ombre e luce” è uno stupendo “inciso” di cinque note di pianoforte che ingioiella questo lento dall’inizio alla fine, con particolare magia nel vellutato dialogo tra il clarinetto e il pianoforte stesso. Sia pure con il contagocce, Fossati ci fa capire che è ancora capace di scavare nel profondo dell’anima, anche se per ora gli va di restare un po’ più in superficie. Piacevolmente però, e con molta fantasia. (Luca "Grasshopper" Lapini)