COLONNELLI "Come Dio comanda (canzoni di sangue ad alti ottani)"
(2018 )
Aspettavo questo disco da oltre due anni, cioè da quando un giovane trio della provincia grossetana (mi) dimostrò di saper fare del metal cantato in italiano rimanendo credibile, senza scivolare nel parodistico, nel clownesco, nel macchiettistico, nel grandguignolesco ad effetto, nella trucida e pedissequa imitazione stereotipata di mostri più o meno sacri.
Astio, rabbia, cieco livore, sacro fuoco che gronda rancore, furia urlante erga omnes: distribuito e promosso ancora dalla ferrarese (R)esisto, questo è “Come Dio Comanda (Canzoni Di Sangue Ad Alti Ottani)”, brutale e affilato, acrimonioso e vendicativo, salva di proiettili ad alzo zero inchiodati a forza in un disco che è nulla più di una seduta psicanalitica di trentasei minuti, terapia d’urto cruda, veemente, violentissima.
E’ esorcismo catartico, sabba sacrificale che brucia molti demoni e ben pochi santi sull’altare pagano di un thrash metal finalmente libero di lanciarsi nella direzione che più gli è congeniale. Optare per una svolta più accomodante insistendo sulla già sperimentata ricerca melodica o tuffarsi dall’altra parte? La scelta rispetto al pur devastante esordio di “Verrà La Morte E Avrà I Tuoi Occhi” è più che evidente: il fiero pasto sono undici tracce fragorose, scomode e belluine, condite da testi diretti ma intelligenti nel loro perfetto adattarsi all’assalto all’arma bianca ordito dal trio.
Una “Intro” sottilmente incombente e minacciosa apre il sipario su un fondale nero, spalancando l’abisso alla bordata omicida di “Amleto” (non hai il coraggio di uccidermi per carità/ma mi condanni a un buco nero per il resto dell’eternità): da lì in avanti è un susseguirsi di ritmi pesanti e chitarrismo ugualmente spinto al limite, dalla sventagliata di “Sangue Ad Alti Ottani” all’hard motorheadiano di “Demoni e Viscere” con il suo ritornello (prima che il cielo ci inghiotta per davvero/prima che Grosseto inghiotta anche te) così amabilmente canticchiabile (sic!) subito ringoiato dal gorgo mortifero de “Il Blues Del Macellaio” – à la Metallica -, altra tremenda sequenza di riff e spasmi elettrici culminanti in un parossistico finale a doppia cassa.
Nel mezzo del cammin, solo piccole anse di calma apparente fra un’onda altissima ed una ancora peggiore che sta per arrivare, tanto che perfino la cover – così vicina, così lontana – di “Festa Mesta” dei Marlene Kuntz risuona addirittura godibile pur nei suoi rigurgiti frenetici e arrembanti.
Affiorano ovunque schegge della loro oramai riconoscibile arte, capace di accoppiare – oggi più nascosti, ma ben presenti - inserti armoniosi ad un clima apocalittico: succede con scoperta barbarie nella title-track, lanciata a rotta di collo e triturata da un bailamme di distorsioni mentre Leo Colonnelli continua a sputare veleno dai più profondi recessi di un’anima color della pece; o nel sinistro rimbombare in minore de “L’impeto Del Frastuono”, tetra digressione esistenzialista su una mortifera cadenza à la Sepultura (resti steso tra i tuoi mostri/fino a quando smetterai di credere); o ancora nella fiaba assassina di “V.M.18”, con un chorus da mandare a memoria mentre descrive un atto di truce efferatezza.
Disco che è un morso feroce alla giugulare, privo di inutili orpelli, di virtuosismi, di frivole lungaggini o di pretenziosi preziosismi: pezzi concisi intorno ai tre minuti, asciutti, dritti in faccia, un crogiuolo di disumanità per le masse che non concede requie (quasi) mai. Lo fa in realtà nello strumentale “Interludio” ed anche nel rallentamento incupito della conclusiva “Lochness”, prima dell’accelerazione che la fa impazzire, prima della pausa di silenzio che la sega a metà come la valletta dell’illusionista, prima dello sberleffo autoreferenziale - quasi una firma in calce, come “La Marcia Dei Colonnelli” in chiusura di “Verrà La Morte E Avrà I Tuoi Occhi” - che sigilla la bara.
Colonnelli sono Leonardo Colonnelli (voce e chitarra), Bernardo Grillo (batteria) e Andrea Deckard (basso e cori). Nascono a Porto Santo Stefano, in provincia di Grosseto. Stanno facendo qualcosa di notevole. (Manuel Maverna)