recensioni dischi
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SOVIET MALPENSA  "Astroecology"
   (2018 )

I lombardi Soviet Malpensa sono una band già nota e collaudata nello scenario indie rock, anche se tendono a sfuggire e rifiutare etichette già prestabilite e generi preconfezionati, per ritagliarsi un proprio stile che sia in grado di ricondurli ad una unicità se non addirittura ad una certa originalità. Mossi da questa esigenza principale, nasce “Astroecology”, il cui nome prende spunto dalla scienza che studia il modo in cui microorganismi possono svilupparsi in ambienti extraterrestri: un lavoro le cui nove tracce contenute cercano di esplorare l’animo umano, il proprio essere, e condurlo in mondi nuovi, con nuovi punti di vista su sé stessi e sul mondo. Claudio Turco (voce, chitarra, sintetizzatori e programmazioni), Stefano Caretta (chitarra, voce e sintetizzatori), Marco Scicolone (basso) e Massimo De Cario (batteria) aprono il disco con “Everest (Manifesto Asociale)”, con un'intro quasi mistica per poi sfociare in un sound energico e spensierato che fa respirare aria di libertà come un “eremita sull’Everest”. “Quasi Tenebra” sembra riportare indietro il tempo agli anni ’80 e a sonorità cupe, ma solo nelle battute iniziali, perché poi si lascia il posto ad atmosfere più distese, grazie ai momenti solistici della chitarra elettrica e agli ottimi fraseggi di basso e sintetizzatori che sostengono una voce densa di pathos. Corale e vibrante è “Lucifer”, grazie alle chitarre che prendono il sopravvento e rendono il brano uno dei più interessanti del disco, mentre in “Heaven” si lascia spazio ad atmosfere e sonorità rarefatte, con l’ottima sintonia basso-batteria che egregiamente dettano i ritmi a chitarre e sintetizzatori. A metà di “Astroecology” si colloca “Europa Afterlife” che mette da parte le parole per dare spazio ad una vocalità sussurrata o enfatizzata ma non si distacca dalle sonorità precedenti e prosegue lungo i sentieri di uno stile sui generis, che non disdegna contaminazioni dark, psichedeliche, punk e ambient. Rumori sinistri aprono la via a “La Scienza Dei Sogni”, in cui sonorità acustiche spezzano il ritmo e danno al lavoro quel momento di pausa di cui ha bisogno. “Pluto” strizza l’occhio al synth-pop ma non disdegna le virate dark e ambient, mentre atmosfere aliene si impadroniscono di “Habitat 7220” e danno vita ad un brano strumentale introspettivo e cervellotico. “Astroecology” è un lavoro circolare nel senso che si chiude con la stessa energia con cui si è aperto, grazie a “This Is The Life”, brano che, nei suoi quasi sei minuti, risulta essere il più lungo dell’intero disco e suona spensierato e frizzante. Nel complesso siamo di fronte ad un disco egregiamente suonato, segno di una maturità artistica ed espressiva di una band dotata di una grande sintonia e di una forte intesa espressiva. Siamo anche di fronte ad un lavoro rischioso, nel senso che può non convincere gli amanti di uno stile ben definito, coloro che sono attaccati alle classificazioni di genere e sperano di trovare nei Soviet Malpensa l’espressione di un’etichetta sonora. Se l’intento della band è quello di creare una propria via, “Astroecology” rappresenta l’inizio di un cammino il cui raggiungimento non è impresa impossibile! (Angelo Torre)