GUIGNOL "Porteremo gli stessi panni"
(2018 )
La longeva band Guignol (quasi vent'anni di carriera, tra concerti e molte uscite all'attivo) pubblica il nuovo album "Porteremo gli stessi panni", che unisce elementi di folk d'autore italiano al folk rock americano più psichedelico. Il gruppo ha cambiato nel tempo alcuni elementi, ma nonostante ci siano state diverse esplorazioni (a volte più elettriche, a volte più acustiche, a volte più "dritte" e a volte più dissonanti), c'è una formula invariata nel tempo che li rende riconoscibili. Ho la fortuna di averli visti dal vivo nel lontano 2008, dieci anni fa, e in quell'occasione comprai il loro secondo Lp, all'epoca appena uscito, "Rosa dalla faccia scura". Il mio punto di vista quindi è inevitabilmente influenzato dal paragone tra i due dischi. Se lì le suggestioni erano più messicane e in un certo senso "esotiche", pregne del fascino dell'altro da sé inserito nei racconti, ora invece lo sguardo è intimo e autobiografico, anche se tutt'altro che autoreferenziale. Dedicato al poeta e attivista Rocco Scotellaro, di cui sono state musicate due poesie che aprono e chiudono l'album, "Porteremo gli stessi panni" affronta i demoni del passato dell'autore Pierfrancesco Adduce, in un modo tale che possiamo trovarci qualcosa che riguardi anche noi. Tre brani su nove sono in 6/8, prediligendo la tipica ritmica della ballata. In "Padre mio", primo dei due testi poetici musicati di Scotellaro, si vede raccontare della figura paterna, giocandoci con la preghiera "Padre nostro". Quasi come di risposta, Adduce scrive "Come Maria Vergine", un brano dal suono elettrico lisergico e dal crescendo sognante, con un testo denso di dettagli significativi: "Piccole strisce di plastica arrotolava in mano, sempre lì tra le dita mentre scrutava lontano", ma non c'è una santificazione della donna, dato che "tirava bestemmie nel suo idioma alieno", e "non può farne a meno". L'hammond, tanto apprezzato nell'album del 2008 nelle scale discendenti di "Rubacuori", ora accende il leslie in "Diversi e opposti", un'amara constatazione su una coppia: "Non fu amore, piuttosto inerzia"; ma nonostante i due siano "male assortiti", restano "nella sorte comunque uniti", ed accompagnati dalla viola e da dolci note di pianoforte. Questa musica è viva, trasmette al contempo malinconia ed entusiasmo. "Sei fratelli", partiti insieme come migranti, sono i protagonisti di questa canzone, che pensa alla madre che era "l'unico approdo", quando il padre era un mercante assente; ma i ricordi sono tanti, ingombranti e confusi. E i brani successivi iniziano a sviscerarli: "L'orizzonte stretto" descrive compiutamente l'atmosfera della provincia, della gioventù di periferia, fatta di prati spelacchiati, marmitte da truccare, sabati sera passati al calcio balilla. Uno shuffle rock con armonica a bocca e steel guitar sostiene la rievocazione di questa "sgangherata banda". I ricordi continuano in "1979" che, lungi da assomigliare all'omonima degli Smashing Pumpkins, è il brano lento più emozionante, mantenuto caldo sempre dall'hammond. Protagonisti sono le biglie ed il pallone da calcio, sbattuto sul basculante del garage ("metallo che rimbomba ad ogni tiro"), e un certo Mattia che ha la testa altrove: sta programmando di scappare dopo aver effettuato una rapina. Una chitarra con tremolo ci riporta al presente, con "Oggi dopotutto", dove bisogna "risorgere da un rudere" con lo "sguardo ben piantato avanti", perché in fondo è lo stesso desiderio di oltrepassare sempre nuovi limiti: "la strada nuova apre una vecchia sfida". Con "La promessa" riemerge il pensiero dell'autore, sempre nutrito dalla letteratura, infatti il pezzo è dedicato allo scrittore controcorrente Luciano Bianciardi: "Tra i caroselli dei tuoi ectoplasmi, anime in pena tra ingorghi e miasmi". E infine la seconda poesia musicata di Scotellaro, "Pozzanghera nera il 18 aprile", che accende i toni mostrando anche il mai sopito sentimento politico battagliero: anche "Rosa dalla faccia scura" si concludeva con un brano politico, "Il sole si fa rosso", dove il padrone era "nervoso". Adesso che la situazione è più dura, perché "i bottoni ce li hanno sbarrati, si son spalancati i burroni", la determinazione non viene abbandonata: "Noi siamo rimasti la turba, la turba dei pezzenti, quelli che strappano ai padroni le maschere coi denti". Quello dei Guignol è un percorso artistico pieno di creatività, coerenza e caparbietà, ed è encomiabile che sia ancora aperto e continui imperterrito nella sua precisa direzione, con gli stessi panni. (Gilberto Ongaro)