recensioni dischi
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ANTARTE  "Isole"
   (2018 )

Il secondo album ("Isole") degli Antarte è un'esplorazione psichedelica del dream pop, sottogenere che ormai ha formato una scena a sé, tra i sogni gentili dei Pulsatilla e le pulsioni post rock dei Malmӧ, che ospita sempre più nomi nuovi. La cifra stilistica degli Antarte sta in una dilatazione della durata delle canzoni, con digressioni strumentali trascinanti che uniscono una chitarra acida a suoni, invece, molto nitidi e puliti. Ciò si sente nel primo viaggio di 8 minuti, "Oasi", un 6/8 introdotto da una lunga nota di violoncello che anticipa i feedback di chitarra. Una voce che non sempre canta: come importanza viene equiparata agli strumenti; ma quando si fa sentire, tende a soffiare le note, a usare molta aria. Una malinconia di fondo caratterizza le parole, come in "I tuoi giorni", nel cui videoclip si vede lo stereotipico impiegato con camicia bianca e valigetta, che dopo aver girato per le strade decide di entrare vestito nel mare. E il mesto testo, sorretto dalla chitarra acustica e dal lungo riverbero dell'elettrica, recita: "Sollevi nuvole di cenere di foglie morte di nostalgia, mentre guardi scorrere i tuoi giorni, le stagioni da un cavalcavia". Un coro femminile addolcisce il clima languido. Di nuovo tornano gli archi in "Senza luna", violino e violoncello, che lasciano protagonista centrale un pianoforte. La voce è un bisbiglio tenuto anche a basso volume, volutamente di difficile comprensione. Nessuna melodia ci viene incontro, siamo lasciati agli accordi del piano che vagano nell'arrangiamento scarno. Il pianoforte continua a presenziare anche in "Nessuno", indugiando in due semitoni suonati con espressione. E' il pezzo più d'impatto. La voce, sommessamente, canta un desiderio di volersi sublimare nel ricordo di una persona amata e perduta, riversando la propria essenza nel vento e nell'acqua: "Regalerò le mie poesie al vento, sarò la brezza fra le dune, il lieve dolore nella tua voce (...) vivrò nell'acqua dei torrenti ma nessuno mi vedrà tranne te". Il crescendo emoziona, con l'arrivo della batteria e l'intensità dei suoni. "Scirocco" è un altro sogno musicale, con suoni eterei e immagini bucoliche e idilliache: "Ricordo ancora quell'odore dei giorni di sole, e il colore dei papaveri (...) i tuoi capelli rosso corallo (...) e poi divenne tutto solo rumore". Un assolo finale di tromba suggella l'uggia espressa dal pezzo. Dall'aria passiamo all'acqua con lo strumentale "Bolina", nome dell'andatura che consente alle barche a vela di risalire il vento. Il brano è costituito da note distese di archi, affiancate da pizzicato e da accordi statici di pianoforte. Verso i tre quarti gli strumenti iniziano ad agitarsi, tra trilli, vibrati, biscrome ribattute bruscamente e crash di batteria, ma il tutto senza accelerare il ritmo, rappresentando bene la forza di volontà necessaria per insistere a muoversi controvento. Un delay di chitarra collega il brano al seguente "Castello di sabbia", un romantico 7/4 dove torna la voce, che ci ambienta tra "distese di terra e di paglia bruciata", dove "il nostro fiato era così vicino". Gli Antarte ci salutano con "Buona fortuna", un altro strumentale, caratterizzato da un arpeggio da ninna nanna della chitarra, e note cariche di delay. Un saluto psichedelico per un viaggio un po' melanconico ma certamente non superficiale, non una gita in autostrada ma un'esplorazione a piedi in mezzo a verdi lande sconfinate. (Gilberto Ongaro)