recensioni dischi
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USING BRIDGE  "Floatin' pieces"
   (2018 )

Tirate fuori la camicia da boscaiolo, che con gli Using Bridge siamo di nuovo negli anni Novanta. Band attiva dal 2002, giunge al quarto lavoro intitolato "Floatin' Pieces" che è carico di chitarre grunge, con una voce amica di quella di Eddie Vedder, basso spesso effettato e ritmi trascinanti. Anche i testi sono figli di quel senso di dispersione nel vuoto tipico di fine Novecento, come la titletrack che definisce, appunto, pezzi fluttuanti, sopra un brano che indugia principalmente su un unico accordo, tra cocci di vetro che si rompono. L'album però è introdotto da "Amigdala", pezzo quasi del tutto strumentale, dove il cantante interviene solo a metà per dire: "I talk to fill the empty space between you and 'I', to fill the chaos of me". Il caos, soprattutto mentale, è dunque protagonista, come nella psichedelica e coinvolgente "Velvet sky". "Werewolves" mette in mostra la potenza della voce che raggiunge acuti graffiati, e concettualmente si collega a "Leave your skin", un invito ad abbandonare la maschera costituita dal proprio corpo, facendo uscire il vero licantropo. Uno degli episodi più avvincenti è "Run to you", un 6/8 in cui sono incise due prime voci, una all'ottava bassa e una all'alta. Tanto per parafrasare il nome della band, in questa canzone il ponte è usato in maniera efficace, con degli stop che creano un crescendo d'impatto. L'album è concluso da "God knows", lungo pezzo di 8 minuti e mezzo, che passa da una fase con chitarra pulita che alterna due accordi distanti un semitono (si- do), creando un'atmosfera trasognata, a un crescendo distorto con gli stessi accordi, rendendo il sogno etereo un incubo fiammeggiante. La cosa si ripete due volte, e la seconda fiammata torna più forte di prima, con la voce che urla le note più acute con veemenza. Nel complesso, l'album "Floatin' Pieces" è un tassello in più che si inserisce nel vasto panorama del revival 90's, fatto di espressioni facciali stile Daria e di monologhi sul "televisore del ca**o" di ''Trainspotting''. Un sound che, in realtà, fioriva ed esisteva silenziosamente sottoterra già negli anni '80, e che ora continua a resistere indomito alle mode. Solo per gli appassionati del genere. (Gilberto Ongaro)