PHOTOTAXIS "Neverlander"
(2018 )
Da Tel Aviv i Phototaxis ci presentano il loro quarto lavoro, l'album "Neverlander", dove il loro electro-soul si esprime in suoni davvero luminosi come il loro nome. Gli arrangiamenti dei pezzi sono minimali ma completi, e la voce della cantante Yael Feldinger vibra sulle corde del soul ma senza esagerare in vocalizzi come accade spesso in quel filone. Il risultato è quello di un pop elettronico immediato, ma al contempo non troppo scontato. Yael narra di ricordi ma spesso le parole vertono sull'accentuazione dei sentimenti esposti in discorso diretto, sull'incitazione, come in "Embrace her" o in "Grow up", un invito a non arrendersi. Come potenziali singoli spiccano senz'altro la title track, che ci fa intendere che l'artista provenga dall'Isola Che Non C'è: "I'm a neverlander...", mentre "Salvation" è una dance con cassa dritta e coro festaiolo sul ritornello. Anche "Scissors" è orecchiabile, con lo schiocco di dita riverberato nella base, e con la voce sdoppiata verso il basso che ricorda quei giochi vagamente inquietanti di Roisin Murphy nei Moloko. Il duo israeliano mostra altre somiglianze con il duo anglo-irlandese, ma la voce di Feldinger è meno nasale e l'attitudine più posata, meno tendente al divismo, insomma se la tira di meno. Anche se poi in "All eyes on me" la situazione si fa sensuale: "The sweetest emotions will drag you over me down the floor, all eyes on me now!", e qui la voce sulle note più acute graffia con intensità. La musica si trascina in un quasi dubstep, accrescendo il lato enfatico del pezzo. Il basso elettrico a volte diventa caratterizzante, se lo era già in "Neverlander" lo strumento diventa protagonista nell'arrangiamento di "Identify" in strofa. Il crescendo è un inganno, perché poi il ritornello è delicato. E in "Aid" e "Same turn" compare anche la chitarra acustica, che ben innesta le sue ritmiche fra i beat elettronici. Insomma, per essere nel complesso un prodotto ben presentabile alle orecchie più mainstream nella sua forma, il contenuto non è poi così prevedibile. (Gilberto Ongaro)