recensioni dischi
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HYPERION  "Dangerous days"
   (2018 )

Nell’ultimo scorcio di 2017, in pieno periodo di rituali classifiche di fine anno, i bolognesi Hyperion hanno debuttato, a due anni dalla loro fondazione, con un album di stampo heavy metal classico, influenzato in maniera evidente dai Judas Priest, ma impreziosito da sfumature thrash e power in più di un passaggio. Sin dall’inizio, gli Hyperion mostrano, oltre a un’ottima tecnica individuale, anche la capacità di bilanciare in maniera perfetta le pulsioni tradizioniste e l’urgenza di calarsi nel presente, con una scrittura e trame particolarmente efficaci e dirette, ben costruite ma anche discretamente facili da ricordare. Se i primi due pezzi (“Ultimatum” e la titletrack) manifestano una tendenziale attitudine power (con il secondo infarcito anche di concessioni melodiche, specialmente nel ritornello), da “Incognitus” in poi gli emiliani strizzano l’occhio a soluzioni più classicheggianti e più heavy, e il trittico che comprende la stessa “Incognitus” è davvero devastante, con la carica e la cattiveria di “Ground and Pound” e “Forbidden Pages”, esaltate da una grande prestazione di Michelangelo Carano alla voce, sempre impeccabile come la sezione ritmica. Gli Hyperion raggiungono ottimi risultati anche col midtempo di “The Grave Of Time”, prima di chiudere il disco con l’altrettanto positivo brano che porta il loro nome. Si tratta di una delle migliori uscite metal dell’anno appena trascorso, all’interno di una scena che sta conoscendo un interessantissimo ricambio generazionale. (Piergiuseppe Lippolis)