recensioni dischi
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IL CERCHIO D'ORO  "Il fuoco sotto la cenere"
   (2017 )

Il prog italiano degli anni Settanta è ancora oggi una fra le cose che il mondo ci invidia di più. Giapponesi e statunitensi studiano quegli anni e quel genere, per sorprendere i loro pubblici. Quel fiorente filone è tuttora attivo, anzi, grazie alla Rete molte di queste realtà vivono una seconda vita, creando una comunità che unisce giovani e veterani. Uno dei nomi di questa galassia è Il Cerchio d'Oro. Band fondata nel 1974 dal tastierista Piccolini e dai fratelli Terribile, inizialmente pubblica pochi singoli, per arrivare solo nel 1999 ad una raccolta. Dopo gli album "La quadratura del cerchio" (2005), "Il viaggio di Colombo" (2008) e "Dedalo e Icaro" (2013), nel 2017 esce "Il fuoco sotto la cenere", concept album sulla rinascita, ricordando quella della fenice che rinasce dalle proprie ceneri. E' costituito da sei brani (più una cover di Ivan Graziani in linea con il concept, "Fuoco sulla collina") che contengono digressioni strumentali dove chitarra e tastiere, sia synth che hammond, si passano la staffetta del solista. Il pezzo d'apertura è la titletrack; le parole sono dedicate a quella sensazione inafferrabile di inquietudine interiore, che non si sa perché arrivi, ma ad un certo punto ce l'abbiamo tutti. Quel qualcosa che, seppur ineffabile, in qualche modo sappiamo tutti cos'è, ed ha a che fare coi massimi sistemi: "Una fiamma che fa paura anche se sta sotto la cenere. Prima o poi si sa, brodo diventerà, e non sarà più governabile, non sarai più tu a decidere". Quando la voce solista viene raggiunta dai cori, questa polifonia vocale ricorda quelle presenti in "Contaminazione" de Il Rovescio della Medaglia. Difatti la familiarità con l'altro storico complesso c'è: la voce di Pino Ballarini compare nel terzo brano, "Per sempre qui", brano caratterizzato da un riff ritmico nell'intro, che ritorna nella struttura. L'hammond suona delle scale e delle terzine dal gusto di Tony Banks. Il testo confronta la situazione attuale di agio di una persona che lavora, e che ha tutto tranne un senso, coi ricordi della sua infanzia, rievocati sempre da quel fuoco dentro che non gli lascia accettare di essere "proprio qui, per sempre qui...". Tra chitarra acustica e tempi dispari andiamo in Inghilterra con "Thomas", nome del fornaio T. Farryner che era al servizio del re Carlo II, e che nel 1666 dimenticò il forno acceso, dando origine a quello che fu il Grande Incendio di Londra. Thomas si salvò saltando dalla finestra, e qui la storia torna buona come metafora per il coraggio: Thomas viene incitato a saltare sotto la cenere, dove troverà la salvezza. Il 5/4 "I due poli" affronta il tema del bipolarismo, attraverso un uomo che si guarda allo specchio: "Davvero difficile adesso capire chi è il vero, l'autentico me stesso". Qui in fase strumentale le tastiere prendono il sopravvento, tra un whistle e un lead dal bel portamento. "Il fuoco nel bicchiere", introdotta da un serioso piano, descrive in prima persona il disagio di una persona dedita all'alcool, che vorrebbe smettere di bere, ma sa che ogni volta troverà un pretesto diverso per ricominciare. Un rock cadenzato accompagna il barcollamento del protagonista, mentre si accende con sapore blues ne "Il rock e l'inferno", con distorsioni più aggressive. Ospite di spicco nella traccia, all'organo e alla voce, è il grande Giorgio Usai (Nuova Idea e New Trolls). Il brano descrive la trasformazione del paesaggio, la pioggia che cessa per lasciare lo spazio ad alte fiamme, e "d'un tratto compresi che il rock e l'inferno son come fratelli siamesi". Anche in questo caso la voce principale viene avvolta in più momenti da cori tonanti, con le note più alte in falsetto, e anche qui c'è ampio spazio per l'hammond dal suono più porpora. Chiude l'album la sopracitata cover di Graziani, rivisitata in una versione diversa che non offende l'originale del grande Ivan, e ripropone così il significato profondo della canzone, che ben si innesta nel concept del fuoco sotto la cenere. "I fuochi di cui stai parlando sono fari puntati sul campo dei trattori che stanno trebbiando". L'immaginazione del bambino si scontra con la realtà dell'adulto: in un senso, quindi, si dissolve la paura dell'ignoto, ma al contempo si smorza anche il fascino della scoperta. Ecco perché l'auspicio de Il Cerchio d'Oro è quello di riaccendere quel fuoco interiore, che riporti un nuovo incanto. E la loro musica, ancora oggi così resistente ai calcoli di una più facile fruibilità, mantiene quell'incanto ancora vivo. (Gilberto Ongaro)