THE FORTY DAYS "The colour of change"
(2017 )
Il prog emozionante, quello narrativo che ricerca il climax, è la cifra che caratterizza i Forty Days. La band toscana pubblica nel 2017 l'album "The colour of change" per la Lizard Records (scuderia che si distingue spesso per la qualità delle proposte). Per loro stessa dichiarazione, l'influenza principale espressa sono i Pink Floyd, ed infatti in certi momenti dei loro brani, tale ispirazione diventa quasi invadente. Nella chitarra solista carica di bending, sembra che vengano forse involontariamente citate delle frasi musicali di Gilmour. Tuttavia, se non ci si mette a fare la caccia alla somiglianza con questa e quella suite dei PF, la band propone delle canzoni di per sé valide, che a più ripetuti ascolti fanno trasparire la loro ricchezza. "Looking for a change", con un breve intro à la "Shine on you crazy diamond", cambia subito direzione con un groove rock basato sul piano elettrico, e la voce esordisce con una nota acutissima e forte, capacità di cui però il cantante non abuserà nel corso dell'Lp. Il refrain è diretto e d'impatto. "Uneasy dream" è uno strumentale che inizia poliziottesco, un po' come negli affreschi sonori dei Calibro 35, con l'aggiunta di progressioni armoniche interessanti, per poi virare in hard rock. "The garden" rallenta i battiti ma non l'intensità dell'ascolto. Il brano è un 6/8 sognante, con accordi di settima maggiore, riverberi profondi e un assolo di synth che, per l'andamento melodico e la scelta timbrica, omaggia Le Orme. Incalzante il lavoro del batterista, con i crash al posto giusto e il pedale sincopato nei ritornelli a fine misura (tùtun, tun tutùn). La zona assolo fa uscire dall'ovvia influenza floydiana, per salutare invece i Porcupine Tree. Anche il testo di "Homeless" contiene suggestioni che gradirebbe Steven Wilson, con questo aroma di caffè che esce dalle finestre, raggiungendo il naso del senzatetto. Una progressione mozzafiato centrale precede l'accensione del brano, avviata dal synth lead che fa decollare batteria e riff di chitarra elettrica. Successivamente una fase spaziale, costituita da riverberi, un crescendo di arpeggi elettronici e il basso che gioca, fa tornare alla situazione cantata iniziale, per approdare in un finale eroico. "John's pool" è il pezzo in cui la personalità dei Forty Days si esprime integralmente. Chitarre decise in un rock con refrain melodico, e un assolo di synth in 11/8. Il testo chiede solitudine per riflettere sul cambiamento in atto. "Restart", introdotta dal pianoforte, è un 5/4 con fasi strumentali tutte degne di nota, per i cambi di tempo non evidenziati, il tutto fluisce senza sforzo d'ascolto, e facilita la ricezione del testo. La lunga coda viene lasciata all'improvvisazione della chitarra, su una cellula melodica di tastiera reiterata. Probabilmente la vetta dell'album, chiuso poi da "Four years in a while", sostenuta dalla band e dalla chitarra acustica, dove la voce finisce regalandoci di nuovo degli acuti da brivido, al termine di un racconto tormentato, commentato dal solo di chitarra elettrica che dialoga con il synth. The Forty Days sono una novità tutta italiana che rende orgogliosi! (Gilberto Ongaro)