recensioni dischi
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VONNEUMANN  "NorN"
   (2017 )

Al nono album ostili ed impervi come sempre, senza mai nulla da dimostrare a chicchessia né bramando chissà quali svolte o variazioni al ben poco canonico arzigogolo tramato nei suoi quasi vent’anni di vita, il trio romano vonneumann – v minuscola, tutto attaccato – pubblica ad un anno e mezzo da “Sitcom Koan” e a breve distanza da “tl;dl” (quattro lunghe tracce edite a giugno in edizione limitata) questo nuovamente spiazzante “NorN” su etichetta Ammiratore Omonimo Records/Retroazione Compagnie Fonografiche. Come di consueto, nulla di normale all’orizzonte. “NorN” è l’ennesimo paradosso, pura irregolarità matematica, cerebralità asservita a sviluppi addirittura fruibili – si fa per dire - rispetto al passato, l’abituale dose di art/avant/experimental impastata con suggestioni prog, elettronica ricombinata, fiati free, deviazioni insistite da un canovaccio appena abbozzato, spesso sibillino, immancabilmente ingannevole. “NorN” è una enorme trappola nella quale si cade di continuo, attratti da richiami spezzati, accenni, indizi, idee impronosticabili. Le due tracce strumentali che aprono l’album – “Bassodromo” e “AntiEuclid”, quasi un quarto d’ora di divagazioni spigolose e ridotto sollazzo - rappresentano altrettanti esercizi di stile di impronta math, prima che il diluvio verbale di “Impossibile Essere Possibile”, soliloquio fitto e psicotico à la Uochi Toki, rompa gli equilibri già precari e spalanchi la via ad un gioco diverso. Le cinque tracce che seguono propongono, suggeriscono, ipotizzano, finendo immancabilmente altrove dal punto di partenza. E’ il trucco che nasconde “DKSG” dietro una fosca patina di elettronica, anticamera di una “Humanoide” i cui vari temi si lasciano devastare da un moog progressive, da un tempo dispari, da una tromba ipnotica, da un finale sci-fi e da mille altri scherzetti assortiti dispensati con imbarazzante naturalezza. E’ questa la cifra stilistica dei vonneumann, almeno di quelli finalmente (più) accessibili di “NorN”: un po’ come nei Battles di John Stanier, è ammirevole la capacità che hanno di riuscire interessanti pur alle prese con materiale così ostico e scopertamente cervellotico, creando melodia su tessiture ritmiche complesse ed incastri velenosi. In “SOAOD” un arpeggio acustico introduce il pezzo insieme a vocalizzi mesmerizzanti, preludio ad un allettante inciso di sax; in “DwORD” una piccola elettronica fastidiosa ed insistente introduce cupi rimbombi che culminano in un tema ossessivo sventrato a metà da una repentina, veemente mutazione elettrica, in attesa che “AntiReprise”, a distanza siderale da dove aveva avuto inizio, chiuda con tre minuti di post-rock e trenta secondi di feedback un album provocatorio e disallineato, disco che richiede impegno, attenzione, applicazione, ma che sa ricompensare cotanto sforzo offrendo in dote una musica di superiore caratura e concezione. (Manuel Maverna)