CARACAS "Ghost tracks"
(2017 )
Immaginate di radunare tutte le periferie del mondo in un'unica utopica città musicale. No, non Fonopoli, sarebbe più adeguato un Italistan. I Caracas con "Ghost Tracks" hanno creato questa suggestione, riprendendo i loro brani strumentali, che girano intorno al dub e/o reggae, e rivisitandoli chiamando cantanti lontani, stranieri e italiani. La cosa affascinante è che ogni ospite porta con sé una storia da raccontare. "Raiss" ad esempio fa spazio a Momo Said, marocchino di Casablanca ma residente ad Ancona da quando aveva tre anni. Nel suo canto dice: "Travel the desert", sembra quindi un riferimento alla propria terra di origine. Come "Habibi", cantata da Badara Seck, artista senegalese di Roma, o "Ahmaric Fever", cantata da Saba Anglana, italo-somala che canta un racconto in somalo. Non tutti gli episodi seguono la stessa scelta, ad esempio in "Dub Sunset" la fiorentina Mistilla, componente del Earth Beat Movement, canta in inglese. Ricca è anche la strumentazione presente: dalle percussioni alle chitarre, c'è spazio anche per fisarmonica, archi e fiati. Un inciso di flauto semplice ma efficace caratterizza "Senza rumore", che ospita Daniele Sanzone, il quale canta in maniera più rilassata rispetto alla sua solita veste aggressiva negli A67 dove provoca con testi come "A camorra song'io". Il testo resta comunque tagliente, nonostante l'andamento tranquillo della musica. Altri artisti del Sud Italia sono il pugliese Fido Guido, che in "1861" racconta dell'Unità d'Italia da un punto di vista meridionalista ("Hanno distrutto una popolazione pacifica"), o il lucano Canio Loguercio, dallo spirito ironico. Canta "Tu me vo fa mmorì, tu me vo fa schiattà", accompagnato dai Caracas che seguono la sua giocosità, e il tastierista inizia letteralmente a cazzeggiare sul piano elettrico in "Fiele". Infine l'attore campano Nando Citarella, col suo marranzano (scacciapensieri) affianca la band in "Senza ventu", dove la voce è stavolta affidata al cantante ufficiale dei Caracas, Eugenio Saletti, giovanissimo (classe '98) figlio di Stefano; il brano si avvicina al ragamuffin, e tra gli effetti speciali avvertiamo una sirena della polizia. Eugenio si cimenta anche in una cover di "E la luna bussò", con un arrangiamento simpatico ma che in fondo non si discosta troppo dall'originale. C'è anche un intervento dal Nord Italia: Luca Morino, frontman dei Mau Mau, racconta una storia noir in torinese, nel brano "Chila". La narrazione è commentata da un'improvvisazione latineggiante di chitarra acustica, piena di sentimento. Il viaggio termina in India, con Trinha Sinha che canta nella sua lingua in "Spicy elephant", sopra una musica sospesa e dissonante, che abbandona il levare di chitarra tipico di tutto l'Lp. La tromba intensifica lo straniamento di questo sorprendente pezzo di chiusura, che conclude un lavoro altrettanto sorprendente ed eterogeneo, unificato solo dal battito dub che funge da mezzo di trasporto per quest'umanità in continuo movimento. (Gilberto Ongaro)