MIRCO MENNA "Il senno del pop"
(2017 )
"Il senno del pop" è il nuovo lavoro che raccoglie nove canzoni più una cover del prolifico Mirco Menna. Dieci pezzi raffinati e straripanti di suggestioni fra loro diverse, attingendo un po' dal pop latino. L'atteggiamento di Mirco a volte ricorda quello di Giorgio Gaber, come ne "Il descaffalatore", dove Menna appoggia certe vocali come faceva il signor G. Tant'è che la chiusura dell'album è affidata proprio alla reinterpretazione di una sua canzone, "Chiedo scusa se parlo di Maria". Tornando a "Il descaffalatore", uno dei brani dalle parole più taglienti cantate su una rapida chitarra acustica in levare, Mirco si focalizza in un mestiere a stretto contatto coi prodotti in scadenza di un supermercato, paragonandolo al destino dei lavoratori, che danno le migliori energie della loro vita al sistema di mercato, che li espelle quando non servono più. "L'apparenza non inganna, se la scadenza si avvicina è una condanna, l'imballaggio un po' sgualcito, un difetto del vestito e sei finito prepensionato; il prodotto antiquato non è funzionale, non è competitivo nemmeno in offerta speciale". Il concetto di prodotto associato alla vita dev'essere tanto caro al cantautore, dato che ritorna nella bonus track "Da qui a domani": "Sto in questo supermercato, sudato come un baccalà". Nell'arrangiamento spesso e volentieri si sentono armonizzazioni di tromba, che portano il pop d'autore nel jazz, improvvisando melodie cariche di saudade. Nell'album ci sono anche diversi ospiti, come Zibba degli Almalibre in "Prima che sia troppo tardi", ballata agitata: "Questi tempi all'unisono ci appariranno nulla più che una giornata isterica". "Portati da un fulmine" è invece uno sguardo paterno verso i problemi della giovinezza paragonati a quelli dell'età adulta, con una carrellata dettagliata di impressioni: "Allungati i pantaloni, più stoffa, maggiore età (...) La lava del vulcano insegue l'erba, erba profumata e menta, terra da terrazzi ormai (...) ci si sente invincibili, portati da un fulmine". L'acustico intimo "Ora che vai via" canta la malinconia della "fatica nel nascondere la fatica", dove emerge la fisarmonica in odore di tango argentino. E ancora immagini emozionanti: "Che male fa tenersi stretti come bimbi nell'oscurità, e domandarsi ancora un poco di compagnia, ora che vai via". Altro brano dolceamaro, che riecheggia Samuele Bersani, è "Arriverai", che sprigiona sensazioni di agnizione: "Arriverai (...) ti distinguerò dagli occhi, dai segni di molte vite, dalla dolcezza di lacrime pulite." Altra ospite è la cantante jazz Silvia Donati, che affianca Menna in "Così passiamo", riflessione esistenziale sul modo veloce ed egoistico in cui viviamo: "Lungo i calendari transitiamo (...) come se noi fosse solo io e qui (...) siamo ombre avide della propria oscurità". Il pezzo è "disturbato" da rumori di vita quotidiana, porte che sbattono, stoviglie, vetri rotti... testimonianze della vita reale, all'interno della dimensione metafisica della musica. "Il senno del pop", canzone che dà il titolo all'album, racconta, spiritoso come De Gregori in "Titanic", di essersi perso: "Ho sbagliato strada (...) come sempre una svista, sono distratto dai tempi della scuola". Forse questo ingorgo è dovuto a scelte sbagliate: "Adesso mi sono perso io nel traffico sbagliato, quello giusto è in un'altra via e oramai sono già in ritardo". Forse è un ironico riferimento autobiografico, dato che l'esordio di Mirco Menna come cantautore risaliva ai suoi 39 anni; ma per questo genere, un'età così matura è tutt'altro che un ostacolo. Come si può scrivere della vita senza averne vissuta un po' davvero, col rischio di non risultare autentici? Mirco lo è, e se l'analisi qui è iniziata con "Il descaffalatore", ora si conclude sul pezzo che maggiormente dimostra l'intensità di scrittura e la capacità di suscitare emozioni tutt'altro che banali: "Sole nascente". Sulla fisarmonica di Giovanni Coscia, Menna immagina che uno dei paesani che avanzano nel quadro di Giovanni Pellizza Da Volpedo "Il Quarto Stato", cammini verso il paesaggio di un altro quadro dello stesso pittore, per l'appunto "Sole nascente", come se quel sole fosse il controcampo del popolo che avanza. "L'ho visto camminare seguendo qualcosa con l'aria di chi sente la musica, e la sa disegnare cercando in ogni suono il colore (...) io non lo so, io non capisco bene, non so... posso dire soltanto che ci vuole coraggio per confondersi in un miraggio (...) guardare il sole negli occhi mentre lui guarda diritto nei tuoi fino all'ombra (...) sono un villano di quelli lì, dipinto tra i tanti che sicuri vengono avanti verso la luce dell'avvenire, con la vittoria negli occhi, coraggio che porta male lo so, quando poi il sole muore, lo so...". In queste parole si racchiude l'intera storia di un'ideologia, che nelle intenzioni più nobili si basava sulla giustizia sociale, ma che nessuno vuole più nominare (anche per lo sviluppo indegno e dittatoriale che ha avuto nel mondo), e che oggi viene puntualmente evitata da tutti gli artisti. Non se ne faceva più menzione dai tempi del "sogno mancato" di Pierangelo Bertoli. Ci voleva un artista di pari sensibilità, per poter far riemergere questo pensiero senza farlo sembrare retorico, anacronistico e stupidamente politico - partitico. La penna di Menna scrive con disinvoltura, passione, classe e soprattutto umanità. (Gilberto Ongaro)