recensioni dischi
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EREZED  "Ventre"
   (2017 )

Proprio vero che l’abito non fa il monaco, come pure che non bisognerebbe fermarsi alla prima osteria, ecc. ecc. Che dire? Una frase sciocca, un volgare doppio senso mi ha allarmato, non è come io la penso, questo rimuginavo ascoltando “Numeri”, primo singolo estratto da “Ventre”, album di esordio per (R)esisto del trio pisano Erezed, lavoro lungamente meditato e maturato nell’arco di almeno un paio d’anni di studio e rifinitura. Mare, occhi, cuore tutti a breve distanza nello stesso testo sono generalmente campanelli d’allarme che mi invitano cortesemente ad abbandonare la nave prima che affondi, eppure qualcosa mi ha convinto a rimanere a bordo. Sarà stato l’insolito timbro vocale di Gianluca Giusti con quell’espressione un po’ così, o la linea sghemba e sospesa della chitarra, o un ritornello che ritornello non è pur esplodendo come una granata, o forse ancora il minuto finale teso allo spasimo nel rinviare la chiusura del pezzo. Valeva la pena insistere e scoprire un tesoretto fatto di chitarra creativa suonata per frasi e contrappunti, spina dorsale di un enorme lavoro di costruzione di armonie secondarie pulsanti in strati di elettricità indisciplinata; riaffiorano dalle nebbie dei synth altri arzigogoli sommersi come fossili riportati alla luce da una scrittura triste ed introversa, introspettiva e sofferente, lunga e dolente ode ai bui labirinti dell’anima, perno di un album saturo di immagini e idee con la voce che striscia – suono aggiunto – un metro sotto la superficie di acque increspate. La title-track in apertura sarebbe ariosa e rigonfia, ma la chitarra la muta in materia indefinibile, con chiusa per pianoforte ed un curioso mix di melismi vicini ai Piccoli Animali Senza Espressione, mentre “Saltare Giù” richiama vagamente i Litfiba del periodo “17 Re”, e “Un’Altra Volta” vira abile da un registro sgraziato ad uno splendido caos. Depistano l’arpeggio di “Ti Ucciderei”, la tetraggine à la Cure e le minuscole dissonanze di “Mezze Verità”, le tenui aperture al nuovo pop imperante in “Come Cade Un Cuore”; scuotono le scariche acide della chitarra che spacca l’incipit riflessivo di “Pioggia Ciclica”, spiazzano il riff incattivito – quasi hard – e il drumming frenetico che martellano “Fede Endemica”, preludio all’illusoria oasi di “Numeri” ed al commiato in bilico di “Confine”. Concept a tema sull’elevazione spirituale dell’individuo, “Ventre” è un palpabile fluire di dimessa melanconia che si autoalimenta con minime variazioni di sorta, un magma uniforme di elettricità stesa come coltre avvolgente sopra ogni traccia, ma lontanissimo dall’interpretazione di matrice shoegaze. E’ piuttosto un disco paradigmatico di un modo di scrivere a stento paragonabile a qualcosa: basilarmente è pop, ma deformato ad arte da innumerevoli filtri ed espedienti di scaltra ricercatezza. Come guardare la canzone pop all’italiana attraverso un prisma che ne restituisce il lato oscuro, chez nous autentica rarità. (Manuel Maverna)