ERIK HONORE' "Unrest"
(2017 )
Quando l'elettronica incontra il jazz, solitamente ci si riferisce all'utilizzo di sonorità synth per eseguire improvvisazioni virtuosistiche con suoni moderni, come nella fusion. Invece qui i parametri sono invertiti: si improvvisa, ma coi criteri della musica elettronica, per cui samples, coi quali creare situazioni aleatorie. Erik Honoré, che può vantare collaborazioni con Brian Eno, David Sylvian e molti altri nomi altisonanti, pubblica questo inquieto Lp dal titolo "Unrest" (appena uscito per l'ottima Hubro records), dove l'elemento "ambient" non è ottenuto tramite troppi bordoni, drones ed altri tipi di note lunghissime basse e statiche, bensì nell'incontro mescolato di campionamenti diversi, alcuni sì costituiti da suoni estesi, ma altri più vivaci. La particolare atmosfera di "Surge", tramite suoni acuti vaganti, evoca immaginarie creature bioluminescenti immerse in una notte avvolgente, tra bassi elettronici che vibrano come un motore d'aereo in atterraggio d'emergenza. In "Abandoned Home" compare la voce dell'interprete Sidsel Endresen, che canta piano su loop di note di pianoforte suonate pianissimo. La strumentazione è ricca, oltre ai sintetizzatori e la voce sono presenti anche archi e fiati. In "Unrest" il violino cigola come una porta da oliare; quando viene raggiunto dal resto dell'ensemble, la palla passa al sassofono che declama la sua solitudine. In lontananza si odono samples reiterati elettronici come una sveglia, che non ci aiuta ad uscire dall'incubo. "Remain" è una breve chiosa di "Unrest", dove il sax continua a navigare tra nuvole di timbri cristallini. L'agitazione ritorna con "Blinded windows", assieme alla cantante che enfatizza le proprie note sopra un mare sintetico. Il brano arriva ad un crescendo che sfuma a sorpresa, lasciandoci qualche secondo in silenzio per poi tornare, con la voce e i synth che modulano le frequenze rendendo i suoni tremolanti. L'agitazione diviene paura in "Apparition", pezzo visionario dove gli strumenti sembrano voler imitare versi di indecifrabili animali, mentre la voce emette sospiri di spavento. Siamo trasportati nel disorientamento. Anche qui ci sono secondi di silenzio, per poi tornare in veste più riconciliante ed amichevole, dove anche la voce si tranquillizza. I campionamenti in "Procession" diventano più evidenti in quanto tali, in uno stile più consueto nell'elettronica, reiterando frammenti di suoni percussivi e tappeti dalla consistenza eterea. Il brano pare sondare qualcosa di sotterraneo e viscerale, o di infinitamente piccolo, come gli impulsi in un chip di computer. Samples di cori indirizzano il brano a una dimensione trascendentale. A chiusura del viaggio, ritorna il sassofono in "The park" e finalmente ascoltiamo cantare un po' anche l'autore Erik, con una voce dal registro medio basso e un'osservazione metafisica dell'ambiente circostante: "We watch the fire as it turns to dust (...) we climb the hell to find a quiet place". "Unrest" è un album dai suoni "concavi", nei quali entrare ed esplorare, e ricorda le tendenze di certi compositori di colonne sonore per videogiochi fantasy anche dal contenuto narrativo poetico e drammatico, come "N.E.R.O. Nothing Ever Remains Obscure". Un po' di calore dalla Norvegia! (Gilberto Ongaro)