BOBO RONDELLI "Anime storte"
(2017 )
L'ironia sagace di Roberto "Bobo" Rondelli è ancora presente, ma negli anni si è sempre più velata di malinconia, e al contempo di poesia. Lontani sono i tempi dell'Ottavo Padiglione, quando il nostro cercava "Emozioni da prima sega". Non è però andata perduta la schiettezza, neppure in questo "Anime storte", dove i testi vanno dritti al sodo, anche laddove per alcuni è difficile essere onesti. Il rock allegro di "Sollievo animale" toglie l'aura all'Amore con la A maiuscola, cantando: "L'amore non sempre cerca vette incredibili, alle volte soltanto un sollievo animale". Il cantautore, per diverse canzoni attinge a ritmiche latine, certificate dalle percussioni quali legni, ghiro e maracas, e melodie spagnoleggianti, come quella di "Io ricordo di quando l'amavo" e "Dolce imbroglio". Altra perla di sincerità quest'ultima, quando un uomo adulto si trova ad osservare le giovani ragazze per strada: "E penserai che è un'ossessione da cui potresti uscire, ma poi ti accorgi che più invecchi commenti con i tuoi compagni, poi zitti c'è mia moglie che chiama, dal dolce imbroglio dell'amore". Forse per bisogno (legittimo) di ottenere più attenzione, il brano scelto per presentare l'uscita del nuovo album è "Soli", che sembra imitare l'atteggiamento wannabe aristocratico dei Baustelle (tra l'altro Bianconi ha prodotto il suo album "Come i carnevali" del 2015), con uno sguardo snob verso "tutta questa gente" in coda per i saldi, che "si fa una foto per non sentire il vuoto"... Diciamo che Rondelli può far meglio di un tipico cantante indie odierno. Dispiace che sia stata scelta questa traccia per promuovere l'album: alle orecchie di chi non conosce Bobo, lo può far passare per uno qualsiasi, quando invece l'Lp contiene autentici diamanti. Come "Ammalarsi", una vera perla con melodia ed arrangiamento sanremesi, dove nel testo sembra celarsi il sarcasmo dell'autore, un po' come faceva Baccini in "Senzatu". "Perché a guardarti dentro, nel fondo dei tuoi occhi, sembra di ammalarmi, che sembrano due stelle di posti mai visti, che importa se ti perdi...". Poi "Cartolina di giornata" è un'altra dedica a Livorno (come la precedente "Madame Sistrì"), dove "Sui tramonti lungomare, Dio si è messo in testa di fare il pittore". Sono descritti paesaggi e losche figure come "avanzi di galera e figli di puttana", e poi c'è un voluto orrore grammaticale: "L'immigrato che cammina vende sempre meno cose, ma è più meglio che a Milano che qui il sole più africano", e questo affresco viene concluso con un laconico: "Però boia deh che palle!". Anche in questa canzone apparentemente seriosa non viene meno la firma di Rondelli. Altro brano dove focalizzare l'attenzione è "Lo storto", dove un figlio ribelle decide di vagabondare, detestato dal padre che "lo avrebbe drizzato a suon di calci". Solitamente si dice che chi non ha visto la guerra non può capire certe cose, ma è anche vero il contrario, che viene espresso qui: "Chi ha visto la guerra non può capire chi piega la schiena e vive da storto". "Su questo fiume" è un altro occhiolino alle tendenze, riempiendo le frequenze con suoni vapor, sul quale si distende un testo interrogativo: "Il cielo cade giù (...), senza ricordare perché siamo qui". Un'epica spirituale su sequenze armoniche paurose, "L'angelo", racconta di un uomo che ha un angelo dentro, il quale decide di stare in mezzo agli uomini, la sua sfida più pericolosa tra demoni che lo tentano, e le colpe che si addossa. "L'angelo" si collega alla successiva "L'Andrea rampante", dal sapore pomeridiano con pianoforte e chitarra arpeggiata pulita, dove Bobo, forse dopo una lite con la compagna, si trova ad osservare gli alberi del parco, immaginando che "magari che non siano telecamere nascoste dagli angeli". Compaiono dei bambini, e l'attenzione dell'autore si sofferma su quello che si isola dagli altri e che sale sull'albero. Siamo trasportati alla commozione dall'assolo di viola. Conclude l'album una figura ricorrente nella discografia di Rondelli, e che finisce finalmente nel titolo: "Madre". "Dolce cuore mio, ti penso come cerco Dio, e sono finalmente aria, e posso volare fino a te". Introdotto da chitarra acustica e celesta, arriva alla sublimazione del sentimento in un assolo di synth dal gusto prog. Bobo ancora una volta si riconferma un autore multiforme e mai scontato, e probabilmente sente di far parte di quelle "anime storte" che fuggono dal gregge, avanzando una visione personalissima della musica italiana. (Gilberto Ongaro)