LACOLPA "Mea maxima culpa"
(2017 )
Quanto vi resta da vivere? Non ha importanza, non si è mai preparati per incontrare il nero giocatore di scacchi che non perde mai (ripensando a "Il settimo sigillo"). Se siete curiosi di provare la sensazione fisiologica - per poi tornare subito vivi, intendiamoci siamo all'ipotesi! Giù quelle lamette! - forse i Lacolpa hanno trovato la formula musicale ideale per rappresentare la fine fisica dell'organismo umano. Senza apocalissi, raccontate con toni epici né moralismi; nonostante il titolo di questo album sia "Mea Maxima Culpa", ci si riferisce proprio alla morte fisica, quella del corpo, quella che fa paura, senza metafore di passaggi e viaggi. Il corpo oscuro delle tre lunghe suite che compongono questo lavoro, è costituito da rumori di catene, chitarre distorte e abbassate di tono, tanto doom metal, a volte sostituito a sorpresa da death serrato. Compare anche molta elettronica, spesso e volentieri noise, soprattutto all'inizio del secondo capitolo "Scars", dove per i primi due minuti non si sente neppure una sola nota, solo marcescenza digitale; sono diffuse in tutti i pezzi urla non intelligibili e sospiri agonizzanti (questi soprattutto in "Soil"). Verso la fine di "Scars" si porta l'ascoltatore all'allucinazione con colpi di kick distorti distanziati da pause di silenzio surreali, nel tempo affiancate da inquietanti rumori che sembrano di insetti che camminano nel legno... della bara in cui forse ci troviamo! Per la lunghezza dei drones e la durata delle situazioni sonore si potrebbe parlare di una sorta di ambient nero (da non confondere però col dark ambient) poiché l'atmosfera è davvero dilatata, e molto più di quanto potrebbe fare un gruppo di stile funeral, tipo appunto i Funeral o i Colosseum. Qui spesso non si avvertono neppure dei battiti rallentati, siamo all'espressionismo totale del rumore senza possibilità di orientamento, se non per qualche stacco di batteria e soprattutto nel terzo e ultimo capitolo, "Fragments (of a smiling face)", dove all'ottavo minuto un suono whistle esegue un piccolo e cupo tema, aumentando la già elevata drammaticità. Il finale, che sembra portare al classico rallentato con esplosione finale, è invece negato. Al posto suo tornano gli inquietanti battiti distorti e i nostri amici insetti, i cui suoni che li rappresentano vengono gradualmente moltiplicati e distorti, fino a sommergere l'intero spettro sonoro. Un lavoro estremo nel vero senso della parola, e non per maniera. Gli stilemi del genere, già distruttivi di per sé, sono stati ulteriormente sezionati e resi espressivi in una maniera insolitamente efficace. L'approccio da avere non è quello di un ascolto normale, bensì quello di una riflessione sul nostro destino, guardando in faccia al timore che conosciamo tutti. Un po' come per i film gothic horror: solo per i più coraggiosi! (Gilberto Ongaro)