THE VALIUM "Amazing breakdowns"
(2017 )
Di quasi tutto ciò che ho il privilegio ed il diletto di recensire, spesso conservo i file mp3 che il Direttore mi invia.
In casi rarissimi, concedo (uh, il potere!) a sparuti artisti isolati sui cui nomi taccio per doverosa segretezza, una coccola quasi inconfessabile in tempi di musica usa-e-getta: l’acquisto in cd.
Voglio dire: un cd originale, vero, fisico.
Bene: non appena sarà disponibile su un ben noto sito web lo farò con The Valium, gente che viene da Salerno, ma sembra di Manchester.
Ora: The Valium – non proprio verginelle di primo pelo - sono in cinque, residuati di chissà quale epoca. Astenersi sostenitori di istanze contemporanee, derive cervellotiche, sviluppi cerebrali e mercanzia 2.0: i signori fanno rumore, ma con stile, senza sbraitare né infilarsi nell’ennesimo vortice di distorsioni o in un marasma di feedback, urla scomposte e quant’altro.
Macché: in “Amazing Breakdowns”, pubblicato su etichetta XXXV dopo travagliata gestazione, infilano una mitragliata di 14 brani in 33 minuti mai flettendo nemmeno per idea, soprattutto mai abdicando alla pedissequa imitazione di chicchessia. Dal canto mio, non starò più a cercare parole che non trovo per descrivere questo blocco granitico e monolitico fatto di tempi squadrati e chitarre ben più che cattivelle. Citerò grammi - non tonnellate - di influenze, rimandi, ascendenze e progenitori vari. Che ci sono, eccome, ma che lascio ben volentieri sul loro piedistallo, mentre qui tutto deflagra – ordinato, elegante e micidiale – in una bolla elettrica capace di stordire ed attrarre verso orbite fascinosamente infide.
Pronti, via: assalto da 1-2-3-4 fra boogie (“Communication”), sberle e sberleffi di punk old-school, garage ovunque (“Too Many Dreams Of Rock’n’Roll”). Ci sono i Pistols (“Tv”, con tanto di soffocante assolo finale così ruvidamente bello che quasi mi commuovo) e i Wire, gli Oasis e i Kinks, in briciole e pillole disseminate ad arte. Ci sono perfino un attacco da Smiths (“Suzy”) ed una martellata da QOTSA (una clamorosa “Emily Davies”), un’oasi di illusoria quiete triste e bislacca (“Ballad Of The Gypsy”) ed un’aria bowieana di non precisata provenienza con un chorus sontuoso che – boom! - ti esplode in faccia (“Like Wonder”).
Dico: ad un certo punto la mia ebbrezza era già tale da lambire stati allucinatori, e potrei averlo percepito io soltanto (1) o trattarsi di pura casualità (2), ma in “Supernatural” ho colto una citazione nascosta di un paio di battute da “Paranoid Android”, come nel vagheggiare psichedelico di “The Cinematic Spectacle” mi è apparsa la sagoma di Tom Petty. Sulla ruggente chiusa di “Soul Sister”, a suo modo invitante ad un’inattesa melanconia, prosciugato, esausto ed inebriato da cotanta veemenza ho finalmente smesso di pensare e di prendere appunti. Poi l’ho riascoltato, “Amazing Breakdowns”. E ancora, daccapo.
Per i miei gusti, un mezzo capolavoro fatto di basilare, essenziale devozione alle fonti, non così scarno come le apparenze suggerirebbero.
Merita un cd originale, vero, fisico. Altro che mp3. (Manuel Maverna)