recensioni dischi
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LEONARDO VERONESI  "Atipico"
   (2017 )

Più che atipico, lo definirei bizzarro e avulso, Leonardo Veronesi. Uno dal quale non sai mai cosa aspettarti. Ben riuscito il restyling de “Non Hai Tenuto Conto Degli Zombie”, che ha fruttato complessivamente un buon rilancio di un album meritevole di attenzioni già un paio d’anni fa. Interessante anche il riscontro che sta avendo il suo primo libro, “Non Abbiamo Tenuto Conto Degli Zombie” (scritto a due mani con Giorgia Pizzirani e pubblicato per La Carmelina lo scorso luglio). Sempre a reinventarsi, Veronesi. Non restare fermi: creare, muoversi, scrivere. E Leonardo scrive osservando le cose da un punto di vista tutto suo, impastando humour sardonico, faconda amarezza e fervido disincanto di fronte alle piccole bassezze del popolino bue che ritrae. Vaga nella direzione che si è dato, senza scoprire la meta del viaggio, magari deviando quando crede opportuno. E scrive bene, senza sdilinquirsi in chissà quale arzigogolo da letterato. Va al sodo, dice la sua, con una sagacia che gli permette ritornelli e invettive. Pubblica ora su etichetta Jaywork “Atipico”, sette tracce introdotte dalla copertina disegnata dal Maestro Marco Jannotta e giocate sul filo di una sana incoscienza tipica dell’artista disinteressato e genuino. Bella l’apertura di “Buccia Di Banana”, singolo allettante e simpatico video annesso, reggae intrigante sfacciato ed incalzante che ferisce in punta di fioretto; altrettanto ficcante “Mi Lavo”, con ritmo simil-caraibico e chitarra latineggiante che si innalza su un ampio chorus da Biagio Antonacci (averne…) mentre dispensa un testo amaro, triste e vissuto; magistrale “Mettersi Nei Panni” nel suo tentativo di costruire una canzone che sappia essere al contempo intelligente, cantabile (sic!) e significativa senza svendersi né aprirsi a leggerezze facilmente spendibili. Il resto è mancia, ossia quattro strumentali sornioni e carezzevoli che mostrano l’altra faccia della medaglia: avvolgente ed evocativa “Lo Specialista Del Lieto Fine”, aria mesta e desolata per pianoforte, chitarra e cori, quasi un’idea di fusion da Pat Metheny, al più la colonna sonora à la Francis Lai di un cortometraggio che non c’è, ma che se ci fosse racconterebbe di un addio alla stazione; e se “Buoni Propositi” pare uno di quegli schizzi da Mark Kozelek che dicono tutto senza verbo proferire, “Potrebbe Essere” chiude su una melodia tenue e sfuggente buttata lì con tutta la perfida nonchalance del mestierante di lungo corso che gioca al gatto col topo. Stranezze assortite, pietanze da gustare ad occhi chiusi senza preconcetti né remore di sorta, in attesa della prossima svolta alla cieca. (Manuel Maverna)