recensioni dischi
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THE SOUL MUTATION  "Times are changing"
   (2017 )

I tempi stanno cambiando, è una frase fatta ma in questi anni il cambiamento pare sia reale e in atto. E per riuscire a starci dietro, ci vuole un'evoluzione, una mutazione dell'anima. Il progetto "The Soul Mutation" è animato da questa istanza, progetto che con l'album "Times are changing" porta il jazz ad incontrarsi con suoni synth inaspettati, anche da parte del contrabbasso come succede nel pezzo "Fate is never late", dove il suono è effettato in maniera che oltre alla nota bassa si senta anche la corrispondente molte più ottave in alto, così quando lo strumento improvvisa crea anche una melodia cantabile, oltre che ad eseguire all'inizio il motivo trainante del brano. A parte questo episodio, però, i protagonisti sono la voce vellutata della vocalist Martha J. e le tastiere di Francesco Chebat, tra cui il Fender Rhodes che appare subito nel pezzo d'apertura "Times are changing", un 7/4 dove la batteria batte il charlie sui sedicesimi, dando l'illusione di avvertire un ritmo davvero complesso. Le parole ricordano che i tempi stanno cambiando e invoca: "No more screams, no more crying, no more fears". In genere quasi tutti i testi sono sognanti e sembrano descrivere una realtà che non c'è, ma che si vuole realizzare. La riflessione onesta di "We are the lucky ones" ci chiede: "Do we really need more? (...) we are still the lucky ones" anticipa un pezzo ambient strumentale dedicato al Dalai Lama, intitolato col suo nome effettivo: "Tenzin Gyatso". Un pad di tastiera dal suono esteso e calmo induce ad un clima meditativo, ma sopra ci sono comunque improvvisazioni di Rhodes. Ci sono anche altre sorprese, come "Yes I'm lonely" che è uno stravolgimento del pezzo dei Beatles "Yer Blues", dove il sentimento blues viene totalmente eluso per far spazio ad atmosfere dilatate più "bianche". E "Deviations" sembra proprio portare delle deviazioni dal genere, con l'utilizzo da parte della cantante del talkbox in stile Daft Punk, e il contrabbasso gioca ancora con un suono synth tagliente. Anche qui il testo ricorda: "I just want to dream", insomma i Soul Mutation vogliono essere lasciati giocare in pace, importando elementi idiosincratici al genere che propongono, senza però mai snaturarlo. A parte "Fragile creatures", dove davvero non sembra più di stare nel jazz, ma come in "Tenzin Gyatso" (e anzi ancor di più) si entra in un ambient spirituale e per certi versi sperimentale, con un suono synth che fa da bordone, ma sul registro medio, non come il solito drone basso e profondo. Quindi la musica è sospesa nel vuoto, e con questa singola nota la voce gioca con vari echi; sopra le ripetizioni delle note, Martha intona le armonizzazioni, creando in tempo reale dei cori con la propria voce. L'effetto è ipnotico e straniante. "Another night" torna su lidi classici, è il tipico brano soffuso-con-spazzole immancabile nel jazz con voce femminile. Anche qui però c'è un elemento particolare: sebbene il gruppo si mantenga sullo stile newyorkese, la voce canta in una maniera quasi folk, come stesse cantando una fiaba celtica. Il batterista gioca in "Pas de deux", un 5/4 romantico che parla di un invito a danzare, e mentre c'è l'improvvisazione di piano, si sentono i rim suonati rapidamente. Il batterista sfoga la sua creatività in "Atour de monde", traccia costituita da un suo assolo. "River underground" è il brano con il ritmo più incalzante, che presenta anche degli obbligati all'unisono che rendono la musica interessante. Il lento sognante "Distances" conclude con eleganza un album serioso e giocoso allo stesso tempo, dove tradizione e innovazione si incontrano in equilibrio. (Gilberto Ongaro)