recensioni dischi
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FOVEA HEX  "The salt garden 2"
   (2017 )

Pressoché impossibile da classificare, e comunque arduo anche soltanto da descrivere a parole, il progetto Fovea Hex rappresenta dal 2005 il principale veicolo espressivo della sessantaquattrenne cantante irlandese Clodagh Simonds, insolita figura di artista la cui singolare carriera è fin dagli albori votata ad una eremitica intermittenza. Padrona assoluta delle sue irregolari incursioni nello showbiz, Clodagh pubblica le quattro tracce di “The Salt Garden 2” ad un anno di distanza da “The Salt Garden 1”, ep incensato dalla critica ed unanimemente esaltato anche in virtù della sua colta inafferrabilità. Ensemble di sei elementi al servizio di una musicalità condensata in tessiture armoniose e composizioni che lambiscono talora una eterea impalpabilità, Fovea Hex è un collettivo che sa spaziare tra istanze apparentemente inconciliabili fondendole in un milieu di traslucido splendore. Scossa da un violoncello tremante e contrappuntata da percussioni sfuggenti, apre tra Enya e Loreena McKennitt “You Were There”, emblema dell’innesto fra ancestrale tradizione popolare e pulsioni contemporanee, un ponte tra le atmosfere sottilmente incupite di Matt Howden e le contorsioni vocali di Siouxsie. Langue pacifica “Chained” in lande ambient, quasi Laurie Anderson in un rituale pagano dall’incedere marziale appena sporcato da minuscole interferenze; procede trasognata ed esitante “All Those Signs” alla maniera un po’ storta di Joanna Newsom, prima di allargarsi nella coralità liturgica del crescendo finale. Chiude in bilico su un estatico rallentamento “Piano Fields 1”, strumentale dagli echi neoclassici con pianoforte e piccole malizie di fondo, suggello ad un lavoro di raccolta bellezza, preludio a nuove divagazioni in territori ancora vergini. (Manuel Maverna)