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LORENZO GIANNI'  "Gramigna"
   (2017 )

Lorenzo Giannì è un esordiente catanese che inizia a farsi conoscere da subito con un album non proprio semplice, però pieno zeppo di riferimenti letterali, musicali e geografici interessanti, che rendono l'ascolto parecchio stimolante. Bisogna dirlo, "Gramigna", uscito a febbraio 2017, non presenta canzoni immediate, la facile fruizione non è evidentemente uno degli obiettivi di Giannì; tuttavia vale davvero la pena entrare nell'universo di questo cantautore appena ventenne (classe '97). Nonostante i testi siano scritti in maniera cantautorale, la musica non lo è mai. C'è una voluta ricerca di eterogeneità musicale, e - mi si conceda la nota poco professionale - è un po' la stessa ricerca che fa il sottoscritto quando scrive le sue canzoni, per cui avverto una certa affinità con Lorenzo; e in virtù di questa mi permetterò di dare anche dei consigli, alla fine. Sebbene non ci siano costruzioni matematiche barocche, lo spirito generale è progressive: si incontrano digressioni strumentali laddove non sembra che stiano per arrivare, e anche se ci sono ritornelli, la classica forma-canzone viene elusa. Gli stili sono molteplici: si passa dall'indie italiano a fasi MPB (Musica Popolare Brasiliana), al rock alternativo stile Muse (per il basso distorto à la Wolstenholme, non per la voce drammatica di Bellamy) e pure delle sequenze di accordi dal gusto bowiano dei primi anni '70 come in "Marta", che riporta un testo allarmante: "Marta ho il tritolo, credo che andrò via per un polo...". Il pezzo di apertura mostra l'irriverenza di Lorenzo fin dal titolo "Deiezione", che non trova giustificazione nel testo se non forse perché compaiono cripticamente termini di D'Annunzio, e tutti conosciamo le abitudini sessuali pasoliniane del Vate. Lungi dall'essere una canzone fetish, si affronta invece un'importante domanda esistenziale: "Dovrei identificarmi con il mio lavoro o no?". E poi ci sono versi di intrigante ricercatezza: "Vorrei saperti pallida nei borghi comatosi, parlare coi palazzi delle ipotesi gioiose". Nella titletrack "Gramigna" un basso lo-fi e un rock con synth accompagnano altre frasi visionarie: "Sai poi la felicità di un cane in una conchiglia", ma emergono anche aspetti di nichilismo totale: "Il cosmo inutile, come Gesù". L'inutilità è un concetto anaforico e ridondante nell'album. L'elemento prog si fa sentire bene in "Nave inverno", con un interessante passaggio di arpeggio di chitarra acustica, melodia eseguita dal basso e progressioni armoniche costanti. Una visione apocalittica annuncia: "Sulla libertà, grandinerà, la riva neve si farà", e all'interno di questa profezia compare "l'arciere soriano" di Guido Cavalcanti, protagonista del dolce stil novo duecentesco italiano. "Il ladro semplice" invece torna nella tradizione indie rock, con batteria in levare, basso che fa i salti d'ottava, chitarra distorta ma non invasiva e tema di sintetizzatore. La voce è sdoppiata e ondulata come fa il suo conterraneo Franco Battiato in "Shock in my town", ma è anche poco intelligibile, tenuta bassa di volume. "Tasche", pieno di chitarra riverberata, racconta un tema più navigato: la fine di una storia d'amore. "Se la colpa tutti precede, noi non corriamo rischi, ma amore mio come si fa, pesa troppo la libertà". Nel brano successivo, le parole lasciano spazio ad uno strumentale in 6/4 introdotto da rulli di tamburi e archi di tastiera stile colonna sonora per videogioco, tipo Tomb Raider, e descrive in suoni la città fantasma che porta nel titolo, "Consonno". La musica brasiliana accennata prima arriva invece in "Tabucchi e tabaccherie", che inizia con "Cara garçoneta nuvolosa e piccola, portami in città". Colpisce l'ultima significativa ramanzina: "Un puttaniere ed una vecchia zia, il mondo non distingue, ma dalle nostre lingue, mia cara garçoneta, il mondo si dipinge". Un panegirico per ricordare il concetto più famoso del cinema morettiano: "Le parole sono importanti!", ché con le parole si può distruggere una reputazione ingiustamente. "Il miglior fabbro", se non per un riff melodico iniziale alternato a percussioni che sembrano bussare alla porta, è una canzone abbastanza consueta, da cantautore. Il testo ancora una volta si riempie di erudizione: "Chi non ha mai letto Tiresia e non sa che le cose del mondo sono roccia". Da un'attendibile fonte (Wikipedia, voce con carenza di fonti), si apprende che Tiresia è un mito greco che si trasforma da uomo a donna e poi torna uomo. Un antesignano dell'androgino. E la canzone verte su estremi paradossali: "L'amore è per gli insensibili intrisi di diritti (...) la politica è per i progressisti intrisi di fascismi, (...) sindacatelli belli antiriformisti". Tutto e il contrario di tutto portano all'annullamento, e così il testo conclude con: "Io non ho più niente in me". "Disperata vitalità" è un altro pezzo con riflessione esistenziale: "A che serve la luce?". Infine arriva "Never cared 'bout John (nor the universe)", il cui titolo riprende il testo di una canzone dei Little Angels, band pop metal anni '80. Il pezzo è un lungo strumentale elettronico e lisergico, con suoni che creano una condizione adimensionale nella quale veniamo abbandonati dato che è il pezzo di chiusura. Lorenzo Giannì si dimostra molto più maturo della sua età, e la cultura che porta con sé giustifica qualche debolezza della voce: non ci sono stonature, però l'interpretazione è migliorabile; un po' più di decisione, di coraggio nella voce, aiuterebbe a rendere l'album meno... convesso, e più concavo ed avvolgente. Poi se l'ascoltatore è curioso e smaliziato, si accorgerà da solo della validità di questo cantautore forse un po' introverso, ma certamente originale e fuori dalle righe! (Gilberto Ongaro)