MOJIS "Migrations"
(2017 )
Ad ogni riascolto apprezzo questo disco sempre un po’ di più, quasi svelasse poco alla volta la sua piccola magia. Sono in quattro, i Mojis, vengono da Sorrento per redimere chi crede a priori che a Napoli & dintorni esistano soltanto rap, folklore, tradizione e melodie spaccacuore, magari con annesso vernacolo locale.
In “Migrations”, debutto assoluto dopo anni di collaudo on the road, Marco Spiezia (già autore in proprio di “Life in flip-flops”, 2015) & soci stipano nove tracce che brillano per urgenza e immediatezza, sia che decidano di alzare il ritmo, sia che optino per atmosfere più rilassate e introverse.
Clamorose le tre bastonate giocate su tempi sostenuti, tutte egualmente impregnate di una caliggine british, spesso e volentieri affini alle rasoiate dei primi Arctic Monkeys: “Dog’s teeth”, con una frase che riecheggia addirittura quella di Message In A Bottle, “New Found Land”, con un passo da Subways, e “Lady Death”, up-tempo forsennato e incalzante. Tre bordate che vivono sui riff abrasivi delle chitarre e su sviluppi armonici non banali. Se da un lato rinuncia alla linearità dell’insieme in favore di una evidente libertà espressiva, “Migrations” sa comunque districarsi fra le maglie di un continuo saliscendi emozionale fatto di blande suggestioni di folk raffinato (“Broken Chord”) e languide ballad dal sentore retrò (“Different Shoes”, “I’m with you”), scivolando alleggerito fra il mezzo reggae di “Small Is Beautiful” ed il passo funkeggiante di “Find The People”. Quando cala il sipario sulla saturazione elettrica di “The Night Is Over” resta la vivida impressione di una band cui non difettano né il talento né la veemenza per esprimerlo: manca loro forse soltanto quel guizzo capace di mutare in un ritornello assassino ciò che la strofa promette. Per ora, una manciata di buone canzoni che potrebbero divenire irresistibili se solo osassero un po’ di più. (Manuel Maverna)