HEIDI FOR PRESIDENT "Nostrils "
(2017 )
Amore e Natura vanno a braccetto, e vengono narrati nelle loro contraddizioni, nella loro armonia e nella bellezza, dentro a “Nostrils”: gli Heidi for President mettono in ciascuna canzone le passioni, le difficoltà e la gioia di vivere che li accompagnano da sempre nelle loro singole esistenze. Questo album d’esordio è un ritratto perfetto della loro condizione attuale e di ciò che il trio sogna di perseguire in ambito artistico.
Esistono, al momento, in Italia, band emergenti più versatili e assurde (in tutti i sensi che vogliate dare al termine) degli Heidi for President? Questo trio geniale e stranissimo non si può inquadrare dentro ad un genere specifico; non ha un focus prediletto nelle tematiche che affronta nei testi; questa band è imprevedibile e difficilmente collocabile in un panorama preciso. A scanso di equivoci, però, cerchiamo di avvicinarla in qualche maniera a qualcosa. Gli Heidi for President prediligono il rock underground: il brano di apertura dell’album ne è la prova. La potente “Dreaming State of Jackson” è un tuffo nella confusione, nell’indecisione, nella condizione di dubbio che attanaglia ogni uomo sulla terra, ma il gruppo decide di prendere di petto la questione e affrontarla con coraggio, aggressività e sfrontatezza. Il risultato che ne esce è una scarica di adrenalina in pieno stile indie rock italiano anni ’90, lontanissimo (per fortuna) da quell’indie pop che oggi impazza sul web, scacco di un hype oltremodo inspiegabile; è invece debitore di una tradizione alternative che nella nostra penisola ha brillato proprio due decenni fa. Ma ciò che sentiamo è soprattutto l’influenza della musica rock d’oltreoceano, non solo statunitense ma anche canadese, e il secondo brano, “Nostrils”, ne è l’esempio perfetto: una ricerca melodica finissima si unisce ad un arrangiamento curatissimo, dove la voce si fonde in modo spontaneo con gli strumenti, e regala momenti importanti e dolci. Possiamo percepire l’influenza degli Arcade Fire nella pop-folk (e questo dimostra quanto sia versatile il gruppo e variegato il disco) “Whom”, dove dialogano meravigliosamente voce maschile e femminile, proprio come avviene in molti brani del gruppo canadese. “Mr. Hubert Cumberdale” è una gemma folk onirica e leggera, che aleggia a metà tra Cat Stevens e i Fleet Foxes, con elementi del Joe Strummer dei Mescaleros, e ha un ritmo ardente che ipnotizza l’ascoltatore e lo conduce per sentieri magici e boschi incantati.
C’è qualcosa di Joe anche nella successiva “Growing Green Time”, ma le influenze non si fermano a queste. Il trattamento vocale del brano ricorda sia quello del cantante dei Clash ma anche, in piccola parte, a quello di Michael Stipe dei REM, altra band sacra che ritorna citata qua e là nel disco. Il vibrafono è il tocco in più che rende questo brano godibilissimo, una piccola perla tutta da scoprire piano piano. Il disco vira su tematiche importanti con “Nasty Tasty Blow”, riflessione nata a seguito del referendum sulle trivellazioni, amara constatazione di quanto stiamo sfruttando e danneggiando il patrimonio inestimabile che ci è stato concesso – in “mantenimento temporaneo”, ricordiamolo, e non per l’eternità. Dovremmo dimostrare di meritare questo dono; invece lo profaniamo a più riprese di continuo. L’atmosfera è cupa; la solita, stupenda fusione di voce maschile e femminile qui cerca più la lotta che la pace.
“Dawn” è il risveglio, la doccia calda delle sensazioni positive e delle speranze che si coltivano al mattino, e che l’arpeggio e la voce onirica cercano di tratteggiare nel modo più sincero possibile. L’ultimo brano, dal titolo a dir poco geniale e probabilmente molto ironico (“Portrait of the Artist as a Young Dog”) è l’apoteosi del percorso che riguarda le due voci: qui si rincorrono per pianure e montagne ingaggiando una sfida che alla fine non vede un vincitore – o, meglio, un vincitore c’è: il brano stesso, che, grazie a un arpeggio vellutato e a questa danza di voci, splende altissimo come degna conclusione dell’album. C’è poi spazio per un divertissment finale, una ghost track curiosa e piacevole che lascia l’ascoltatore soddisfatto e convinto del grande talento del trio. Un disco d’esordio stranissimo, unico nel panorama italiano, che crea grandi aspettative per il futuro della band.
(Samuele Conficoni)