recensioni dischi
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VON DATTY  "Ninnenanne"
   (2017 )

"Ninnenanne" è il terzo capitolo di una trilogia della notte, concepita dal barone Von Datty, cantautore romano dai baffi a manubrio che in quest'album si addentra nelle pulsioni più istintive dell'uomo, nelle sue passioni carnali dalle quali sgorgano riflessioni esistenziali. Parole colme di desiderio e talvolta di crudezza, accompagnate da una musica pop che si avvale spesso e volentieri di elementi distorti e psichedelici. Anche la voce torna a più riprese effettata da una distorsione lacerante. Come in "Wonderland", dove la melodia cantata si avvicina al blues, e dove il paese delle meraviglie di Alice si fa un paradiso geneticamente modificato. Il cantautore ci ricorda che "non sa far poesia", eppure la prosa enunciata sembra stia costantemente ricercando il bello e la passione autentica. "Dalla carne" contiene questo desiderio: "Bramo la bella carne per la melodia (...) provo amore per la carne, penso ancora che ci sia dentro il mio folle apparire amore per la vita mia (...) per il sangue che ho versato, per il sangue che mi fai, puoi vedermi solo tu". C'è anche un sottofondo di morbosità decadentista ("il mio gioco è un gioco sporco", o come ne "Il profumo": "Di quanta purezza si nutre un peccato"). Per Von Datty la notte è costante fonte di ispirazione, nel brano di apertura "Prima ninnananna sulla Terra" dice: "il buio vestito ha chiuso le palpebre ormai", mentre in "Non credere ai fiori", percorsa da un inciso di Hammond, ci fa sapere che egli offre da bere ai propri fantasmi. Gli piace essere diretto, infatti a fine pezzo canta che "i tuoi discorsi tra le righe non ti porteranno a niente". Una schitarrata acustica energica, simile a quella di Lucio Battisti in "Anima latina", introduce "Grigio perla", dove lo sguardo intimo alla carne si estende fuori: "Dall'alto di una scala il mondo appare per com'è". Lo stesso sguardo vale per il discorso profondo affrontato ne "La pietà": "Costruisco idoli di scarsa utilità, non voglio sporcarmi". Questa canzone ha una voce ospite con la quale vengono creati degli ironici cori virili di "lailailà". "Schiavo di mille o duemila ossessioni, io sono fragile" è la condizione dichiarata in "Ad ogni piccola morte", dove le piccole morti quotidiane sono, secondo il sottoscritto, metafora del sonno, come raccontato da Shakespeare e Leopardi. Il suggestivo sound si fa sentire particolarmente in brani come "La parte mancante", dove ci sono giochi con la batteria elettronica su un fondo pianistico, mentre il nostro amico dandy ha "negli occhi riflesso il soffitto e la noia che dà". Anche la consistenza de "Il peso delle labbra" è particolare, con un suono liquido di chitarra (un tremolo assieme ad un vibrato?), mentre sono presenti altri suoni che vanno e vengono, oltre a fare ping pong nelle orecchie. Anche nel brano di chiusura "Prima ninnananna sotto Terra" si continua a sperimentare, effettando pure il suono del pianoforte, mentre Von Datty asserisce che "è semplice parlare a chi ti guarda (...) e a chi vive in un mondo di giocattoli e parole", e conclude addormentandosi "lasciandoti fuori". Una degna conclusione per un trilogia notturna che ci regala parole oneste e suoni dalla consistenza variabile e imprevedibile. (Gilberto Ongaro)